Anche i cuochi tradizionali devono aprirsi ai piatti veg

Con il 7,1% di vegetariani e l’1% di vegani, l’Italia è uno dei Paesi dell’Unione Europea in cui la popolazione è più incline a rinunciare al consumo di carne. A restituire la fotografia dei comportamenti alimentari tricolori è l’Eurispes nel suo Rapporto Italia 2016. I motivi sono legati alla scelta di una dieta più salutare (46,7%), alla sensibilità nei confronti degli animali (30%) e alla tutela ambientale (12%). Ma, indipendentemente dalle ragioni della rinuncia, il tema è di fondamentale importanza anche per gli Ambasciatori del Gusto che con i cambiamenti di queste abitudini fanno i conti tutti i giorni.

«Secondo me è fondamentale che nelle proposte dei ristoranti degli Ambasciatori ci siano proposte vegetariane e vegane. Non solo perché c’è una richiesta, ma anche perché così deve essere in quanto il futuro deve diventare sempre più vegetariano anche se, è bene dirlo, si tratta di una scelta individuale. Di sicuro, vista la grande richiesta che c’è il cuoco deve dare delle risposte», dice l’Ambasciatore Pietro Leemann che, domenica 28 maggio ha organizzato, con il giornalista Gabriele Eschenazi, “The Vegetarian Chance”, Festival internazionale di cultura e cucina vegeteriana e ospitato nel suo Joia la IV edizione del concorso internazionale dedicato a questa cucina, vinta dall’olandese Gijs Kemmeren. «Il motivo di questo concorso è quello di stimolare i cuochi a pensare in modo vegetariano. Non bisogna dimenticare che la cucina vegetariana è più complessa e implica un modo diverso di trattare le materie prime per dare piacere all’ospite. Sono felice che i colleghi onnivori, che sono stati la totalità dei partecipanti, si siano lasciati prendere dal concorso perché, differentemente da chi raccoglie solo l’esigenza di una scelta salutista, sono interessati alla cucina in sé».

A giudicare i piatti, Pietro Leeemann ha chiamato, tra gli altri, due Ambasciatori del gusto: Antonia Klugmann e Davide Oldani. «Sono convinto che oggi la cucina debba evitare le etichette – riflette Oldani -. Per me che pratico una cucina armonica non è importante sapere se il mio cliente-ospite sia vegetariano, vegano, onnivoro, no-latticini o gluten free. Questo significa che ognuno deve trovare il proprio spazio senza necessità di darsi un’etichetta. In un ristorante con un po’ d’armonia ci deve essere un po’ di carne, un po’ di pesce, e ancora verdura, frutta, erbe, carboidrati. E io sono per l’armonia totale».

 

«Non ho preclusione per alcuna scelta alimentare – aggiunge l’Ambasciatrice del Gusto Antonia Klugmann -. Alcuni piatti del mio ristorante sono vegetariani, altri vegani, così come ce ne sono a base di pesce e di carne. Sicuramente la scelta degli ingredienti, in una cucina come la mia spinta dall’osservazione dello stesso ingrediente, mi porta a farmi delle domande sulla sua provenienza e del suo utilizzo. Questo tipo di riflessione mi ha portato ad aumentare il numero dei piatti vegetariani in carta anche se, da sempre, la cura dell’orto e la raccolta sono fondamentali». «Però – conclude –  ritengo che uno chef non debba essere “obbligato” a tenere proposte vegetariane o vegane a causa delle statistiche, ma debba scegliere secondo i suoi pensieri».

Mariella Caruso


Il semaforo? Sta bene solo in strada

Milano, 24 maggio 2017 – L’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, CHIC, Euro-Toques Italia, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e Le Soste si schierano a favore e a supporto dell’azione del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina che ha espresso un “no” convinto al Commissario Europeo per la Salute e la sicurezza alimentare e al Commissario Europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sullo schema di etichettatura nutrizionale basato sul “codice colore” già adottato nel Regno Unito.

Nel giugno 2013 il Regno Unito ha introdotto un sistema a bollini colorati in etichetta, la cosiddetta “etichettatura a semaforo”, bollini e colori che vengono assegnati in base alle calorie, ai grassi, agli zuccheri e al sale presenti in 100 grammi di prodotto. Quindi, quando in un alimento uno di tali aspetti è presente oltre determinante percentuali di concentrazioni, sulla confezione viene apposto un bollino rosso. Altrimenti il verde o il giallo.

Riteniamo si tratti di un sistema intuitivo ma altrettanto semplicistico nella classificazione nutrizionale che penalizza molte eccellenze italiane, nonostante non siano affatto pregiudizievoli per la salute dei consumatori.

Con questo meccanismo, c’è il serio pericolo di ritrovarsi davanti al paradosso di un bollino verde assegnato a una bibita gassata con dolcificante e di un bollino rosso per il nostro extra vergine di oliva.

Sono i prodotti agroalimentari del nostro Paese più richiesti al mondo (formaggi, salumi, olio, vino etc.), che utilizziamo quotidianamente per le creazioni dei piatti, motivo di vanto e di successo dell’arte culinaria italiana.

Con questa azione sincronizzata e di sistema tutti noi vogliamo evidenziare la nostra indiscutibile posizione e il supporto a tutti gli organi governativi nel richiedere l’intervento della Comunità Europea e la cooperazione del Regno Unito per rimuovere questo elemento distorsivo e altamente dannoso del mercato.


Non bisogna avere paura di servire pesce povero

La sostenibilità del mare e dei suoi prodotti è un tema molto sentito dagli Ambasciatori del Gusto. Nel weekend appena trascorso l’ambasciatore Moreno Cedroni ha partecipato a Slow Fish 2017, incontro internazionale organizzato da Slow Food e Regione Liguria dedicato al pesce e alle risorse del mare, che si è chiuso ieri al Porto Antico di Genova.

«Scegliere quale pesce mettere nel piatto è un atto politico», ha detto il biologo marino Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico dell’evento il cui tema scelto è stato la sostenibilità del mare e dei prodotti ittici messa in pericolo dall’inquinamento (in particolare dalle microplastiche, invisibili all’occhio umano, che vengono in contatto con l’ambiente marino penetrando nel plancton e diventando parte della catena alimentare) e dalla riduzione delle specie che arrivano sulle tavole.

«Negli ultimi trent’anni le sessanta specie normalmente destinate al consumo alimentare si sono ridotte a non più di dodici o tredici tra cui si annoverano anche il filetto di pangasio e il pesce persico del lago Vittoria», ha aggiunto intervenendo nel corso della conferenza dedicata alla valorizzazione del prodotto alimentare come strategia contro lo spreco. «Il corto circuito è arrivato quando dalla sacralità del cibo si è passati a considerarlo come una merce rispondente a regole commerciali», ha continuato Greco, che da cuoco il giorno precedente aveva provocatoriamente spadellato meduse (in aumento vertiginoso a causa della diminuzione dei predatori) in tempura.

Poi ha lanciato un appello agli chef. «Se i grandi cuochi invece di fare pornografia culinaria in televisione – ha detto – capissero che i loro messaggi vengono recepiti a tanti livelli, potrebbero fare molto perché nel nostro mare abbiamo oltre 300 specie di pesci, crostacei e molluschi commestibili». A rispondere è stato l’Ambasciatore del Gusto (nonché chef nato in una città sul mare) Moreno Cedroni. «Per noi ambasciatori del gusto non sprecare è un dogma – ha spiegato il senigalliese, che è stato impegnato in una lezione sul “susci” all’italiana e in una cena a quattro mani con Mauro Colagreco -. Noi del pesce usiamo tutto: polpa, spine, lische e coda, superando di fatto lo step dello spreco. Noi cuochi, grandi o piccoli, di coscienza, di umiltà, cresciuti col duro lavoro, in particolar modo se nati davanti al mare lo rispettiamo insieme ai suoi prodotti. Non abbiamo paura di utilizzare i pesci poveri, io per esempio nel mio menù ispirato alle corti rinascimentali utilizzo il muggine (un pesce che dicono sappia di petrolio) ispirandomi alla ricetta di mia mamma che lo cuoceva alla griglia dopo averlo marinato un paio di giorni. Il problema è quello dell’incidenza del lavoro perché nessuno ormai mangia il pesce con le lische e lo sfilettamento diventa necessario».

Detto questo, il consiglio di Cedroni e degli ambasciatori, è di tenere in carta piatti realizzati sia con pesci ricchi che poveri senza utilizzare il solo tonno, magari scegliendo pesce azzurro, sostenibile, non congelato. Sulla pornografia culinaria, però, Cedroni non ci sta. «A fare pornografia – osserva – sono tutti i cuochi, grandi e no, che presentano ricette impossibili da riprodurre. Un po’ come chi guarda i film porno e poi a casa vorrebbe essere Rocco Siffredi, ma non può».


Obama al "Seeds & Chips"

Avrebbe potuto scegliere di fare il suo primo intervento pubblico da “past president” affrontando qualunque argomento. Anche se non possiamo darlo per certo, è facile immaginare che a Barack Obama non siano certo mancate le occasioni per discettare, per esempio, di economia o giustizia. Invece no. Dopo aver occupato per otto anni lo Studio Ovale della Casa Bianca, Obama è tornato sulla scena pubblica intervenendo, in Italia, a “Seeds & Chips”, summit internazionale sulla food innovation, sui temi dell’alimentazione, della sicurezza e sulla sostenibilità di ciò che mangiamo e dei cambiamenti climatici. Che non è un controsenso, né un indizio di superficialità, ma di lungimiranza perché il cibo – più di ogni altra cosa – riguarda ogni singolo essere vivente.

Nelle due ore di intervento-intervista condotta da Sam Kass, lo chef-consigliere nel corso della presidenza obamiana artefice della rivoluzione salutista alla Casa Bianca (e non solo) sfociata nella campagna contro l’obesità “Let’s Move”, l’ex presidente ha messo il dito su una questione che non risparmia alcuno.

«Creare una cultura del cibo che sia più sostenibile e sano», è l’appello di Obama. Un modo per alimentare un circolo virtuoso: una nazione che si alimenta in maniera sana «riduce i propri costi sanitari». Una lotta che attraverso l’alimentazione sana comincia dalla riduzione del tasso di obesità dei bambini che, non paradossalmente, anche in Italia è in aumento tra i più poveri che sono obbligati a nutrirsi con cibi a basso costo.

«Nessuna popolazione è destinata alla fame o all’aumento delle temperature – ha detto Obama -. Sono problemi creati dall’uomo che si possono risolvere». Come? «Attraverso la sicurezza alimentare, impegnandosi contro i cambiamenti climatici e lo spreco alimentare, che è la chiave per sfamare il pianeta – ha spiegato -. Un dovere che ciascuno deve sentire in nome dei propri figli. Non bisogna mai dire che è troppo tardi, ma quando si parla di cambiamenti climatici ci siamo vicini – ha concluso -. Possiamo lasciare un mondo degno dei nostri bambini con meno conflitti e più cooperazione».

Obama, pur affermando di non essere vegetariano, ha parlato della necessità di ridurre il consumo di carne e di informarsi sulla sostenibilità ambientale degli allevamenti, ha ribadito che l’alimentazione è «un fatto privato» e che nessuno può dire agli altri come deve nutrirsi e, quindi, è una questione di educazione e giusta comunicazione. Un impegno al quale tutti – agricoltori, chef, produttori – devono cercare di contribuire.