L’agrolimentare italiano DOP e IGP, un patrimonio di cultura ed econonomia

Con la registrazione lo scorso 4 ottobre dell’Ossolano Dop, formaggio prodotto esclusivamente con latte intero di vacca bruna, frisona e pezzata rossa, sono 294 i prodotti agroalimentari a denominazione di origine (Dop) e a indicazione geografica (Igp) riconosciuti dall’Unione europea. «Un patrimonio importante per l’agroalimentare italiano sia in termini di cultura, sia in termini economici», sottolinea Cesare Baldrighi che, alla presidenza del Consorzio Tutela Grana Padano che mantiene da 18 anni, ha affiancato lo scorso maggio quella dell’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche (Aicig) che, in termini economici, rappresenta il 95% delle produzioni Dop e Igp italiane.
L’AICIG – «Sono 65 i Consorzi di tutela di Dop e Igp associati all’Aicig – continua Baldrighi – il cui compito è quello di presidiare il campo legislativo italiano, europeo e internazionale. Oggi è il concetto stesso di Indicazione geografica che viene messo in discussione, soprattutto quando si devono stringere accordi internazionali come il Ceta, l’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Canada, con il quale siamo riusciti ad ottenere di 41 prodotti». Oggi sono in discussione analoghi accordi con Cina e Giappone e, anche in questo caso, «stiamo cercando di ottenere tutele per il maggior numero di prodotti». Il perché non si possono ottenere tutele per tutti i 294 prodotti italiani Dop o Igp è presto detto. «Molti di questi prodotti – puntualizza Baldrighi – hanno una connotazione strettamente locale e non hanno le potenzialità per arrivare sui mercati internazionali».

ECONOMIA E CULTURA – Se la questione legislativa è fondamentale in quando strettamente connessa con quella economica legata alle esportazioni, «in crescita per tutti i prodotti agroalimentari dei Consorzi aderenti all’Aicig», non è meno importante quella legata alla comunicazione dei Consorzi di tutela. «Non sempre il consumatore conosce i prodotti Dop e Igp: dietro ognuno di questi ci sono tradizioni e cultura che non può essere persa – argomenta – E se in Italia capita di avere il problema, come avviene nel caso del Grano Padano, dell’identificazione da parte del consumatore del prodotto tutelato come un marchio privato, all’estero abbiamo la necessità di far conoscere e di spiegare il prodotto. In aiuto arrivano i bandi per la comunicazione dell’Unione Europea che recentemente ha messo a disposizione 180 mln di euro per progetti finanziabili al 75%».

GLI AMBASCIATORI DEL GUSTO – «Quello che gli Ambasciatori del Gusto possono portare al sistema delle Dop e delle Igp è un contributo fondamentale perché questi prodotti del Made in Italy devono essere presentati e, soprattutto all’estero, deve essere spiegato il loro utilizzo. In questo il ruolo dell’alta cucina e degli Ambasciatori, esperti nella conoscenza dei prodotti e nel loro utilizzo, è essenziale – conclude Baldrighi -. Ne sono una prova le esperienze fatte durante la Settimana della cucina italiana nel mondo».
Mariella Caruso
World Pasta Day, oggi il mondo festeggia lo spaghetto al pomodoro
Il 25 ottobre di ogni anno Sua Maestà la pasta viene festeggiata in tutto il mondo. Dopo Milano, in occasione dell’Expo 2015 dedicato a “Nutrire il pianeta”, e Mosca in questo 2017 è San Paolo a ospitare il World Pasta Day, l’evento internazionale dedicato stavolta allo «spaghetto al pomodoro» che vede l’Ambasciatore del Gusto Antonino Cannavacciuolo tra i tre testimonial. Ma, mentre su Twitter si celebrerà la spaghettata virtuale al pomodoro, in Italia si discute del Decreto sull’etichettatura della pasta voluto dai ministri Calenda e Martina. Dal 17 febbraio 2018 sulle confezioni di pasta secca prodotte di grano duro in Italia dovranno essere riportate obbligatoriamente in etichetta il paese di coltivazione del grano e quello di molitura/macinazione. «Da metà febbraio avremo finalmente etichette più trasparenti sull’origine di riso e grano per la pasta – ha spiegato il ministro Martina -. È una scelta decisa che anticipa la piena attuazione del regolamento europeo 1169 del 2011. Il nostro obiettivo è dare massima trasparenza delle informazioni al consumatore, rafforzando così la tutela dei produttori e dei rapporti di due filiere fondamentali per l’agroalimentare Made in Italy». Il condizionale, però, è d’obbligo.

LA POSIZIONE DELL’AIDEPI – L’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta italiane (Aidepi), infatti, ha presentato il ricorso al Tar del Lazio contro il decreto «perché – sostiene il presidente dei pastai dell’Associazione Riccardo Felicetti – è fatto male: non informa correttamente il consumatore e rischia di far credere che ciò che conta per una pasta di qualità è l’origine del grano. E questo non è vero». Per spiegare i propri motivi i pastai industriali, che «dicono sì a una etichetta di origine trasparente per il consumatore e forte per la filiera», hanno argomentato il loro no in 7 punti chiamando in causa l’articolazione del Decreto, il fatto che non esista una normativa europea univoca, che non tutta la pasta sarà etichettata (sono escluse, tra le le altre, quella fatta con grani Igp e la pasta fresca) oltre a far rischiare, aggiungono «di far perdere all’Italia il suo primato nella produzione della pasta entro 10 anni».

I COLTIVATORI. Dal canto proprio la Coldiretti utilizza il World Pasta Day per plaudire al decreto etichetta che, stando a una consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole alla quale hanno partecipato 26.000 persone, è richiesta dall’85% dei consumatori. «Si tratta – ha scritto la Coldiretti in un comunicato diffuso proprio in vista del 25 ottobre – di un provvedimento fortemente sostenuto per garantire maggiore trasparenza negli acquisti e fermare le speculazioni che hanno provocato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione che ha provocato una drastica riduzione delle semine. Con l’etichetta arriva un giusto riconoscimento del lavoro di oltre trecentomila aziende agricole italiane che lo coltivano, ma anche la valorizzazione un territorio di 2 milioni di ettari coltivati».

GLI AMBASCIATORI DEL GUSTO – C’è, poi, chi la pasta la impiatta: i cuochi tra i quali anche quelli degli Ambasciatori del Gusto. «È da apprezzare lo sforzo del ministro Martina che ha tentato, tramite un decreto, di fare qualcosa di importante per la protezione del consumatore proteggendo anche l’industria della pasta, elemento imprescindibile della dieta italiana – sottolinea il presidente degli Ambasciatori del Gusto Cristina Bowerman -. Altrettanto apprezzabile è la posizione dell’Aidepi che, con chiarezza, ha esposto una serie di controindicazioni che annullerebbero lo sperato effetto benefico del Decreto sull’etichettatura in questione. Quello che ci si augura è uno sforzo comune che vada nella stessa direzione e che possa garantire le esigenze fondamentali da ambedue le parti. La tentazione dell’immobilità deve essere superata dall’ambizione di trovare una soluzione che promuova il Made in Italy in maniera proficua e intelligente».
Mariella Caruso
Il G7 dell'agricoltura s'impegna contro la fame
«Insieme per migliorare il futuro». È l’intento degli Ambasciatori del Gusto. Ma quale futuro? Quello dell’agroalimentare che sta alla base del gusto italiano e, a cascata, quello di chi quelle materie prime le trasforma e le serve in tavola. Chi tratta, però, in qualsiasi modo la materia “cibo” non può non considerare l’altra faccia della medaglia, quella di chi soffre la fame: secondo i dati 2015 del World Food Program 795 milioni di persone nel mondo. «Oggi sono 815 milioni», ha sottolineato il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, intervenendo all’evento Fame Zero, e richiamando i Ministri dell’Agricoltura del G7 riuniti a Bergamo, alle loro responsabilità.

Negli incontri del G7 dell’Agricoltura che si sono svolti lo scorso weekend del capoluogo orobico i Ministri partecipanti hanno affrontato il tema con l’obiettivo dichiarato di portare «500 milioni di persone fuori dalla fame entro il 2030». Per questo, come ha detto il ministro Maurizio Martina, è stata adottata all’unanimità la “Carta di Bergamo”. Una serie di indicazioni programmatiche atte a preservare il reddito dei piccoli agricoltori dalle crisi climatico-ambientali dando mandato alla Fao di studiare un programma di azioni e individuare una definizione unitaria di evento catastrofico. Le altre indicazioni sono la maggiore cooperazione agricola con l’Africa dove il 20% della popolazione soffre di povertà alimentare; una maggiore trasparenza nei prezzi del cibo in difesa del ruolo degli agricoltori nelle filiere; l’adozione di politiche concrete per la tracciabilità e lo sviluppo di sistemi produttivi legati al territorio e, non ultimo, battere lo spreco alimentare che oggi coinvolge un terzo della produzione alimentare mondiale.
Non è un paradosso mettere questi temi tra quelli in evidenza per gli Ambasciatori del Gusto: la scelta degli ingredienti, la giusta remunerazione dei fornitori e la lotta allo spreco sono tutti obiettivi più che perseguibili per chi si muove dell’ambito dell’enogastronomia. «Ci sono temi sui quali dovremo aumentare ancora gli sforzi, come la protezione dei suoli e la biodiversità, la maggiore trasparenza nella formazione del prezzo del cibo e la riduzione radicale dello spreco alimentare. Su questi fronti serve più consapevolezza, ognuno deve sentire forte la propria responsabilità», ha concluso il ministro Martina spiegando il perché a Bergamo ci sono stati molti incontri sul tema del diritto al cibo in continuità con Expo Milano.

«Se sono 815 milioni di persone nel mondo che soffrono la fame ogni giorno ce ne sono 1,5 miliardi obese. Ci sono anche 36 milioni di persone che ogni anno muoiono per mancanza di cibo e 29 milioni che periscono per malattie dovute ad un eccesso di cibo – commenta concludendo la presidente di Ambasciatori del Gusto Cristina Bowerman –. Expo 2015 ha permesso di puntare i riflettori su questo grande e complesso tema, lanciando un guanto di sfida e noi tutti, senza esitare, abbiamo raccolto. Insieme al Governo, alle istituzioni, associazioni e amici coinvolti, anche noi Ambasciatori del Gusto combattiamo ogni giorno questa grande guerra del diritto al cibo che, come ha ribadito anche Papa Francesco durante la giornata mondiale dell’Alimentazione, non consente a milioni di esseri umani di guardare al futuro con fondata fiducia».
Mariella Caruso
Dai progetti alla realtà del fare: la sfida degli Ambasciatori del Gusto

“Italia-Mondo, Andata e ritorno” è il tema scelto dagli Ambasciatori del Gusto per il primo convegno nazionale. A un anno dalla nascita dell’Associazione, all’Open Colonna di Roma, si è discusso di fiscalità, formazione, valore del Made in Italy e della sfida che il cibo italiano dovrà affrontare nel 2018. «Si tratta di temi importanti che per passare dalla fase della progettualità a quella della “realtà” hanno bisogno dell’appoggio e del supporto di tutti gli Ambasciatori del Gusto. Occorre lavorare uniti per lo sviluppo del sistema Italia per diventare polo di aggregazione permanente di tutte le realtà», ha detto aprendo i lavori del convegno la presidente degli Ambasciatori del Gusto Cristina Bowerman.

FISCALITÀ, LA GIUSTA RICETTA. Quali sono le sfide per passare dalle stelle al firmamento? È questo il quesito posto dall’economista Severino Salvemini convinto che si possa, volendo, «coniugare l’alta artigianalità con l'”industrializzazione” a dispetto del continuo osannare il concetto di “piccolo e bello”. Anche nel campo della ristorazione ci si deve presentare come azienda e non come persona fisica e pensare alla successione perché l’azienda deve essere vivere nel tempo e occuparsi della ricerca dei capitali e dell’organizzazione». Non mancano, però, le criticità. «Ci vuole attenzione perché – ha sottolineato il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Roma, generale Cosimo Di Gesù – l’indice di infiltrazione criminale nelle attività di ristorazione è molto alto: sul 5,1% di imprese confiscata nel Lazio, il 30% sono attività di ristorazione e alberghi». In definitiva «la tutela contro la concorrenza sleale (fatta da chi per motivi diversi offre piatti a costi più bassi di quelli di mercato, ndr), lo sviluppo di un business plan che aiuti a portare avanti un concept moderno e la collaborazione attiva con la Guardia di Finanza e i commercialisti», ha riassunto la presidente degli Ambasciatori del Gusto Cristina Bowerman, «sono i punti dai quali far partire le sfide per il futuro».

L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE. «È la questione che necessita di più tempo», argomenta l’Ambasciatore del Gusto, consigliere dell’Associazione, Carlo Cracco, presentando il modello studiato per il Centro di Formazione professionale di Amatrice (oggi trasferito a Rieti perché la sede è stata distrutta dal terremoto del 2016) che prevede 5 moduli di eccellenza tenuti da Renato Bosco, i fratelli Serva, Marco Stabile, Mariella Caputo e Marco Reitano. Un progetto che ha l’ambizione di andare oltre. «La nostra intenzione di Ambasciatori è andare nelle scuole, magari abbracciando l’istituto alberghiero territorialmente più vicino a ognuno di noi, per portare lo stesso modulo studiato per Amatrice e far capire quanto sia importante la formazione che non bisogna dimenticare viene prima dell’esperienza che si fa sul campo: la formazione, infatti, attiene a gesti precisi che devono essere patrimonio di chi vuole fare questo mestiere». Anche «la formazione di qualità dei mestieri della ristorazione può essere esportata anche più della mozzarella», ha spiegato poi Alberto Capatti, professore universitario e storico della gastronomia italiana che con Niko Romito, chef del Ristorante Reale di Castel di Sangro, Anna Maria Zilli, presidente Renaia e il neo diplomato all’Alberghiero Maggia di Stresa hanno animato il panel “L’importanza della formazione” mettendo in luce i limiti dell’istruzione pubblica alberghiera «i cui programmi ministeriali sono fermi agli anni 80» a dispetto delle iscrizioni in crescita a causa del boom mediatico che ha fatto risalire il prestigio sociale del cuoco. Cosa che, al contrario, non è avvenuta per il mestiere del cameriere.

LA CULTURA DEL VALORE DEL MADE IN ITALY. «Otto anni fa mentre lavoravo da Heinz Beck ho ricevuto la proposta di gestire il Ginza Tower Tokyo», ha raccontato aprendo il terzo panel del convegno Italia-Mondo, Andata e ritorno l’Ambasciatore del Gusto Luca Fantin che dopo aver importato per due anni prodotti italiani ha cominciato «a costruire dei rapporti con piccoli produttori e aziende giapponesi che producevano ingredienti della cucina italiana creando una microeconomia sul territorio. Dopo qualche anno ho cominciato a raccogliere i risultati della cucina italiana contemporanea». A dispetto della sua voce pacata a dare una sferzata sono state le provocazioni del pluristellato Ambasciatore del Gusto Enrico Bartolini. «Non basta il racconto del piatto ad attirare quando si apre un ristorante all’estero», ha detto lo chef del Mudec di Milano continuando sulla necessità di valorizzare il «lavoro di sala. Ai camerieri chiediamo troppo: dovremmo avere trumenti per dargli una mano, non possiamo più concedere tempo libero o dare loro la divisa nuova. La verità è che la loro retribuzione in Italia è molto penalizzata dalla tassazione». A parlare di prodotti italiani, «già patrimonio culturale dell’Unione Europea», dell’«italian sounding che non riusciamo a sfruttare perché occorre ripensare con maggiore consapevolezza alla forza dei nostri prodotti e a un Made in Italy molto più strutturato», è stato Stefano Vaccari, capo dipartimento dell’ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari. A parlare, invece, della prossima Settimana italiana della cucina italiana nel mondo (20-26 novembre 2017) è stato Cristiano Musillo. In chiusura del panel l’on. Dorina Bianchi, sottosegretario del Mibact, ha ricordato che il «Made in Italy è il 3° marchio più conosciuto al mondo dopo Coca Cola e Visa e la forza del turismo sta anche nel cibo italiano che gli stranieri in visita nel nostro Paese considerano un metro di giudizio per valutare la propria vacanza».

2018: LA GRANDE SFIDA DEL CIBO ITALIANO – «Uno dei punti di debolezza della filiera è il sistema distributivo – ha affermato Luca Bianchi, capo dipartimento delle Politiche competitive del Mipaaf -. Bisogna accompagnare il processo di distribuzione con quello della divulgazione e della conoscenza della cucina italiana perché il cuoco è uno strumento per far viaggiare il prodotto che arriva da un sistema di piccole e medie imprese che fanno fatica a trattare con la gdo internazionale». Per questo, ha spiegato Bianchi, la strategia del Dipartimento che dirigo è cambiata dicendo basta alle piccole campagne e favorendo invece gli accordi con la grande distribuzione internazionale». Tema correlato è quello dei Consorzi, «che rappresentano centinaia di produttori», come sottolineato da Nicola Cesare Baldrighi, presidente dell’Associazione italiana Consorzi Indicazioni Geografiche. In chiusura spazio alla Tutela della Amatriciana la cui ricetta, entro la fine del 2018, dovrebbe poter fregiarsi del bollino Stg europeo. «Il disciplinare della Amatriciana tradizionale è stato definito la scorsa settimana e sarà indicazione di un tema di carattere culturale come valore di un territorio – ha aggiunto Bianchi -. Entro la fine dell’anno cercheremo di mandare a Bruxelles il disciplinare così da poter avere entro il 2018 un piccolo tassello per dare un’occasione di rinascita e orgoglio di un territorio colpito duramente dal terremoto».
Mariella Caruso