La cena annuale degli Ambasciatori del Gusto per la prima volta a Napoli

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L’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto sceglie Napoli per la cena dell’anno 2019. Dopo il successo delle prime due edizioni, tenutesi a Roma e Milano, sarà il capoluogo campano a ospitare la grande serata in programma domenica 29 settembre, alle ore 19.30, nella maestosa cornice di Palazzo Caracciolo.

Per l’occasione gli Ambasciatori del Gusto – uniti negli intenti di una realtà senza scopo di lucro che rappresenta l’eccellenza della ristorazione e della pasticceria italiana, con l’intento di valorizzarne l’intero patrimonio agroalimentare nel mondo – mettono in campo uno schieramento d’eccezione formato da 10 grandi cuochi campani e 10 grandi cuochi provenienti dal resto d’Italia.

Dieci coppie assolutamente inedite formano una squadra di 20 tra i migliori rappresentanti della cucina italiana di qualità e 40 mani d’autore all’opera insieme.

A rappresentare la cucina del territorio “giocando in casa” ci saranno: Salvatore Avallone (Cetaria Ristorante, Baronissi), Alfonso Caputo (Taverna del Capitano, Massa Lubrense), Enzo Coccia (La Notizia, Napoli), Mimmo De Gregorio (Lo Stuzzichino, Sant’Agata dei Due Golfi), Paolo Gramaglia (President Restaurant Pompei), Peppe Guida (Antica Osteria Nonna Rosa, Vico Equense), Francesco Pucci (La Riggiola, Napoli), Giorgio Scarselli con Fumiko Sakai (Il Bikini, Vico Equense), Pasquale e Gaetano Torrente (Al Convento, Cetara) e Antonio Tubelli (Baroq Art Bistrot, Napoli).

Ad affiancare ciascuno di loro, in quello che sarà uno straordinario gioco delle coppie ai fornelli, all’insegna del gusto e della cucina tricolore di qualità, arriveranno: Caterina Ceraudo (Dattilo, Marina di Strongoli, Crotone), Enrico Cerea (Da Vittorio, Bergamo), Gioacchino Sensale (Hotel Dolcestate, Campofelice di Roccella, Palermo), Giorgio Servetto (Nove Ristorante, Alassio), Raffaele Ros (Ristorante San Martino, Scorzè, Venezia), Arcangelo Dandini (L’Arcangelo, Roma), Giuseppe Romano (Me Restaurant, Pizzo, Vibo Valentia), Franco Aliberti (Tre Cristi Milano, Milano), Gianfranco Pascucci (Pascucci al Porticciolo, Fiumicino, Roma) e Solaika Marrocco (Primo Restaurant, Lecce). 

Questi maestri della cucina avranno il compito di comporre un menù corale sulle note dei sapori campani e delle contaminazioni liguri, laziali, siciliane, calabresi, lombarde e venete, proponendo piatti della tradizione locale rivisitati in modo originale per conquistare anche il palato dei più esigenti.

Un parterre davvero esclusivo per un appuntamento unico nel suo genere a cui è invitata a partecipare tutta la cittadinanza. Il ricavato della vendita dei biglietti (a partire da 90€, ) della cena “20 Cuochi” andrà infatti a sostenere, concretamente, il progetto AdG “Fare Formazione giunto al terzo anno, con l’ambizione di aprire ad altri istituti e attività inerenti. Un ciclo di percorsi formativi d’eccellenza che vede gli Ambasciatori del Gusto impegnati in prima linea nell’attività didattica per allievi e insegnanti delle scuole alberghiere. Un contributo reale alla formazione in ambito ristorativo con l’obiettivo di trasferire ai giovani che saranno i cuochi, i pizzaioli, i pasticceri, i camerieri, i maître d’Italia del domani le tecniche migliori, ma soprattutto la consapevolezza di come svolgere il mestiere al massimo livello, imparando anche a gestirne le difficoltà, grazie alla condivisione di esperienze e suggestioni.

La conduttrice Tessa Gelisio farà da madrina alla serata durante la quale si svolgeranno anche due speciali premiazioni. L’Associazione assegnerà – per la prima volta – il Premio “Ambasciatore del Gusto – Anno 2019”, destinato all’associato che durante gli ultimi dodici mesi si è più distinto in termini di entusiasmo e condivisione degli scopi associativi e premierà anche il vincitore del Bando Premiare l’Eccellenza, destinato alle microimprese che hanno sviluppato progetti a beneficio della filiera agroalimentare.

Per acquistare il biglietto,
Per informazioni, scrivere a info@ambasciatoridelgusto.it


Olio EVO, quando il prezzo è giusto

Qual è il prezzo giusto per l’olio extravergine di oliva? La domanda è solo apparentemente semplice. La risposta è, infatti, complessa. E non può essere altrimenti dal momento che sul mercato si trova olio estravergine di oliva a prezzi disparati, addirittura a un prezzo più basso di quello che dovrebbe essere il suo costo all’origine. Come è possibile tutto ciò? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Rutigliano, giornalista di Agrisole/Il Sole 24 Ore che afferma che il prezzo giusto per l’olio extravergine d’oliva non può essere inferiore ai 7-7,50 al litro.

IL PREZZO DELL’OLIO EVO. «Per il prezzo all’origine gli indici Ismea sono abbastanza chiari. Ed è da quelli che bisogna partire. Perché i prezzi al consumatore sono molto diversi a seconda del canale di vendita», attacca Rutigliano. «Per approfondire la questione del prezzo all’origine faccio riferimento ai prezzi dell’olio evo sulle piazze pugliesi che, a partire da quella di Bari, vantano il primato mondiale nella produzione con il 40% della produzione nazionale. A metà agosto 2019 gli indici Ismea della piazza di Bari dei prezzi all’origine al netto della consegna e del confezionamento era di 5 euro al kg per prodotto convenzionale, non Dop, perché non esistendo per varie vicissitudini il Consorzio di tutela della Dop Terra di Bari non ci sono rilevazioni ufficiali della Dop anche se il prezzo all’origine secondo l’Ismea è di 5,60 euro a kg. Il prezzo degli altri oli pugliesi erano Lecce a 3,90, mentre il prezzo dell’olio lampante (con acidità superiore al 2%, ndr) che è il risultato di un olivicoltura non di pregio a causa dell’epidemia di Xylella è di 1,60/1,70», continua. «Detto questo, partendo dal prezzo all’origine e aggiungendo i costi di confezionamento e distribuzione, e considerando un margine di redditività decente il prezzo dell’olio extravergine di oliva in una piazza in cui l’olivicoltura è di pregio, ovvero quella in cui la pianta viene manutenuta, dovrebbe essere dai 7 ai 7,50 euro al litro e mai inferiore ai 6 euro». Questi prezzi fanno riferimento a cultivar di pregio anche in termini organolettici come possono essere, aggiunge Rutigliano, «dell’area meridionale».

FRODI E SOFISTICAZIONI. Com’è possibile, allora, che un olio extravergine vergine di oliva di olive raccolte in Italia possa essere venduto a prezzi molto inferiori? «Al di là dei meccanismi della Gdo che usano le proprie leve commerciali per gli acquisti e comunque garantisce la tracciabilità del  prodotto, la cronaca si occupa spesso delle frodi alimentari che in qualche caso possono determinare prezzi fuori mercato. Nell’ultima campagna pugliese, per esempio, tra danni della Xylella e gelata del 2017 che ha quasi azzerato la produzione olivicola del Nord Barese la materia prima è stata davvero poca, al contrario i volumi di produzione sono stati consistenti. Ciò significa che è arrivato olio non pugliese, poi spacciato per tale. Di fatto il problema delle frodi e delle sofisticazioni è un problema serio e non certo nuovo», fa osservare Rutigliano.

INFORMAZIONE AL CONSUMATORE. «Di informazione ce n’è tanta, forse troppa, e il consumatore è ben consapevole che, al di là delle informazioni in etichetta, lì dove il prezzo è basso qualcosa non torna», continua Rutigliano che propone, invece, un’altra questione: Il consumatore è mosso dalla leva prezzo da quella salutistica? «Ormai tutti conoscono l’importanza della dieta mediterranea e, nell’ambito di questa, il valore nutrizionale dell’olio extravergine di oliva. Se quest’ultimo è di bassa qualità non ha le proprietà organolettiche utili e chi sceglie un’olio evo facendosi attrarre dalla leva del prezzo sa bene cosa sta comprando».

I RISTORATORI. Anche i ristoratori sanno bene cosa comprano. E anche in questo caso se è la leva del prezzo a muovere l’acquisto, vale quanto già detto per tutti i consumatori. Esistono, comunque, regole ferree per l’olio da mettere a tavola come l’etichettatura secondo la normativa vigente, il tappo antirabbocco e un sistema di protezione che non ne permetta il riutilizzo dopo l’esaurimento del contenuto originale indicato nell’etichetta. Tutto questo non vale per gli usi di cucina e di preparazioni di pasti. «Come per il vino, poi, ci sono olii pregiati il cui prezzo può essere molto alto arrivando a costare anche 40 euro al litro – conclude Rutigliano –. Oli da usare in gocce come profumi di lusso».

Mariella Caruso


Dop e Igp fanno volare reputazione e valore dei prodotti. Attesa per 33 nuovi riconoscimenti

La pitina friulana, salume a base di carni ovicaprine o di selvaggina ungulata, conservata grazie a un processo di affumicatura e a uno strato protettivo di farina di mais, il marrone di Serino tipico di alcune zone dell’Irpinia e del Salernitano, il cioccolato di Modica e la lucanica di Picerno, salsiccia del Potentino, sono i prodotti dell’agroalimentare italiano ad aver ottenuto il riconoscimento Igp nel 2018. Si tratta degli ultimi quattro della lunga lista dei 299 fin qui tutelati dall’Unione Europea con uno dei tre marchi (Dop, Igp e Stg) che identificano i prodotti di qualità agricoli e alimentari disciplinati dal Regolamento dell’Unione Europea 1151 del 21 novembre 2012.

Per capire come può cambiare la percezione di un prodotto e il suo impatto economico sul mercato dopo l’ottenimento di uno dei riconoscimenti europei abbiamo parlato con Antonio Scivoletto, direttore generale del Consorzio di tutela del cioccolato modicano, prima (e fin qui unica) Igp della classe 2.2, ovvero cioccolato e prodotti derivati, e con Benito La Vecchia, presidente del Consorzio di tutela della ricotta di bufala campana Dop che, pur avendo ottenuto la Dop il 20 luglio 2010 solo da poco meno di due anni è al lavoro sulla promozione del prodotto.

Il cioccolato di Modica Igp. Non è stato semplice per il Consorzio di tutela del cioccolato modicano arrivare al riconoscimento dell’Igp. «La prima richiesta presentata nel 2006 fu bocciata nel 2009 perché mancavano i presupposti per ancorare la produzione al territorio», racconta Antonio Scivoletto che del Consorzio è direttore generale dal 2010. «Da quel momento è stata necessaria un’attività di lobbing per riuscire a fare modificare il regolamento europeo sui regimi di qualità», spiega il dg che ha lavorato in questi anni all’inserimento nell’allegato 1 del Regolamento comunitario della classe del cioccolato e prodotti derivati. Gli altri passaggi verso il riconoscimento hanno riguardato la stesura del disciplinare di produzione, «che, oltre alla tecnica di lavorazione, stabilisce che il prodotto deve essere costituito di pasta amara di cacao nella percentuale da 50 a 99%, zucchero dall’1 al 49% e aromi naturali, sale e frutta secca. Il disciplinare stabilisce, altresì, che il produttore possa indicare nella ricetta anche il Paese di origine delle fave utilizzate per la produzione della pasta amara di cacao». A cambiare, dall’iscrizione nel registro europeo delle Igp, è che «adesso il cioccolato di Modica è soltanto Igp, altrimenti non può esistere. Al momento, avendo ottenuto la registrazione il 15 ottobre 2018, siamo nei 18 mesi di transizione e servirà, però, almeno un altro anno per pulire il mercato dai prodotti non a marchio Igp». Dal riconoscimento però sono calate le aziende aderenti al Consorzio di Tutela. «Dai 14 associati del 2010 il Consorzio era arrivato ai 42 pre-riconoscimento. Attualmente le aziende autorizzate a produrre cioccolato di Modica Igp sono 22 perché alcune, per le quali la produzione era accessoria, hanno deciso di lasciare per la difficoltà di produrre secondo le regole previste dal disciplinare». Economicamente non c’è ancora un dato che fotografi la situazione post riconoscimento. «Tireremo le prime somme a giugno 2020, ma di certo ci sono 12 milioni di barrette prodotte nel 2018 contro le 400mila del 2003 e i 2,5 milioni di contrassegni consegnateci dalla Zecca dello Stato che faranno di un prodotto unico uno ancora più pregiato. Non a caso Modica, avendo ottenuto il primo e fin qui unico riconoscimento concernente il cioccolato vanta il primato di Capitale europea del cioccolato».

La ricotta di bufala campana. Non si tratta di una Dop recente ma, come spiega il presidente del Consorzio di tutela Benito La Vecchia, «il riconoscimento è stato di fatto conservato in un cassetto fino al febbraio 2016. Soltanto dopo quella data è stato costituito il Consorzio». Il motivo? Forse dipende dal fatto che la ricotta è un prodotto accessorio della mozzarella di bufala campana, prodotto Dop dal 1996. «La produzione della ricotta di bufala campana è simbiotica a quella della mozzarella – chiarisce La Vecchia -. Si produce, infatti, con il siero dolce derivato dalla caseificazione del latte di bufala adoperato per la produzione della Mozzarella di Bufala Campana Dop e fino a non poco tempo fa era un prodotto che veniva regalato e, forse per questo, non veniva valorizzato. Di fatto anche se, sin dal momento in cui è stata richiesta l’iscrizione della Dop, tutti ci credevano nessuno si è davvero impegnato nella valorizzazione della ricotta di bufala campana». La costituzione del Consorzio di tutela ha cambiato le cose. «I caseifici associati si sono già più che raddoppiati. Dai 6 del 2016 siamo arrivato ai 13 attuali. A settembre, poi, sono previsti altri 4 ingressi per arrivare fino a 20 consorziati», continua il presidente La Vecchia, classe 94, titolare del caseificio Il Casolare ad Alvignano dove accoglie anche i turisti che così possono assistere alla produzione sia della mozzarella, sia della ricotta di bufala campana. «I dati economici disponibili parlano chiaro, l’aumento di valore del prodotto è stato del 120-130%, la produzione del 2018 è stata di circa 60.000 kg con una vendita al consumatore che si aggira tra i 10 e i 12 euro al chilo», continua il numero uno del Consorzio che ha già ben chiari i prossimi obiettivi. «Ci concentreremo sulla promozione e sulla divulgazione anche nei confronti dei produttori di mozzarella di bufala Dop. Ci piacerebbe – conclude – che tutti, insieme alla mozzarella, producessero anche ricotta di bufala Dop».

Mariella Caruso