Come la tecnologia sta cambiando il modo di pensare la cucina

In principio furono il miele e l’aceto. Le prime tecnologie di conservazione del cibo risalgono a tempi antichi, ai romani, agli egizi prima di loro.

Quello che è accaduto in questi duemila anni, in particolare negli ultimi decenni con la tecnologia in cucina, sui campi coltivati e nella logistica è una delle più grandi vittorie dell’essere umano.

Se prima coltivavi, allevavi e dovevi consumare subito, o quasi, oggi la scienza ci sta permettendo di avere prodotti e ricette di qualità sempre più alta, precisa.

Non c’è dubbio, e basta chiedere a un qualsiasi cuoco, che la tecnologia anche solo degli ultimi anni ha cambiato il modo di pensare la tavola. Quello che prima era costretto dalle tecniche di cottura e dalle classiche tecniche di conservazione, è oggi solo una delle tante soluzioni attuabili dietro i fornelli.

Nel 1810 Nicolas Appert ha inventato le conserve in vetro. Oggi noi abbiamo degli strumenti per il sottovuoto che mantengono l’alimento integro per molto più tempo.

Ma le cucine dei ristoranti e i loro strumenti sono un punto di arrivo. Quello di partenza, invece, è il campo, la terra. Le scoperte tecniche e scientifiche nel mondo agricolo sono il vero fiore all’occhiello di questo discorso.

E l’Italia ha un ruolo di primo piano: sessanta su 480 imprese e startup che forniscono le nuove tecnologie per migliorare efficienza e sostenibilità in agricoltura, sono italiane. Che corrisponde al 12,5 percento totale. Stiamo entrando – e in parte siamo- in un’agricoltura già rinominata 4.0. Dove le applicazioni per controllare l’andamento dei campi spopolano e i droni volano a controllare che tutto fili liscio. Dove la precisione agricola si ottiene dall’incrocio di fattori tecnici impensabili fino a qualche tempo fa: l’ambiente, il clima, le colture, tutto viene controllato con precisione attraverso un’agricoltura interconnessa che porta a stabilire con esattezza il fabbisogno delle piante, a prevenire patologie, a compiere interventi mirati.

Se l’agricoltura è il primo passo per definire la nuova esperienza agricola, mai pensata prima, la catena del freddo è quello che invece va considerata la vera rivoluzione tecnologica. I sistemi di raffreddamento sempre più avanzati permettono di consegnare un gambero appena pescato a Mazara, direttamente a Parigi, a Milano, senza perdere un briciolo di qualità. L’Italia in questo caso sta facendo dei passi da gigante, dopo un iniziale svantaggio. Ma la macchina tecnologica si muove nella giusta direzione.

Naturalmente dalla terra si passa al trasporto, ma le novità tecnologiche più interessanti riguardano la strumentazione in cucina. Questi ultimi trent’anni circa hanno cambiato davvero totalmente il modo di approcciarsi al piatto, alla materia.

Roy Caceres, che muove i fili di una delle cucine più interessanti d’Italia, quella di Metamorfosi a Roma, fa un ampio uso della tecnologia. “Da quando ho iniziato questo lavoro, le ultime scoperte tecnologiche mi hanno permesso di mettere in pratica la mia idea di cucina.”, ha detto.

“Non avrei mai saputo come raggiungere certi piatti che avevo in mente senza quello che abbiamo oggi a disposizione. E ho visto anche il cambiamento che c’è stato: nei primi anni duemila, la tecnologia era al servizio di sé stessa, oggi è uno strumento in più per esaltare l’ingrediente. Si torna alle origini, all’essenza della materia.”

Si allontanano gli additivi: ormai c’è l’evaporizzatore rotante, che riesce a distillare a basse temperature mantenendo così tutte le proprietà dell’ingrediente altrimenti perse con una normale ebollizione. Si rende la carne tenera come mai è stata con i Roner per la cottura a bassa temperatura.

Le soluzioni tecnologiche in cucina sposano poi quella che è una crescente e giusta attenzione al problema dello spreco. Cucinare potendo utilizzare quasi tutto della materia prima permette di ridurre gli sprechi quasi a zero.

Tra i forni a vapore che si trovano ormai anche nelle case, quelli che si controllano da remoto con telecamere incorporate per non perdere di vista nulla mentre si fa altro, i Roner di ultima generazione, la tecnologia è entrata in cucina dalla porta principale.

“Senza una pentola a pressione che frigge non avrei mai potuto lavorare come sono riuscito sul mio pollo”, ha detto Niko Romito, durante il suo intervento a Identità Golose 2019. Ogni novità in questo campo è un passo enorme per gli operatori, che non aspettavano altro se non uno strumento per mettere in pratica le proprie idee.

Non ha senso essere spaventati dai nuovi strumenti, ma è necessario conoscerli per migliorare ogni piccolo dettaglio. Le nuove tecnologie di coltivazione cominciano a permettere piante sviluppate in idroponica sempre più valide. Si possono controllare gli allevamenti di alghe in casa, allevare e congelare gli insetti che invaderanno (forse) il mercato enogastronomico europeo con una colonnina da tavola. Si può far crescere funghi dai fondi di caffè o stampare cioccolatini.

Gli ultimi modelli di abbattitori da cucina ad azoto liquido riescono a congelare perfettamente a -30 gradi un alimento in una manciata di minuti.

L’ultimissima novità è quella degli ultrasuoni. La carne a contatto con dei macchinari a ultrasuoni riesce ad avere una maturazione spinta in pochissimo tempo. Quello che si frollava in mesi, ora si può fare in giorni senza perdere qualità.

Il futuro è il presente e il presente guarda con molta attenzione al futuro. Non si può più pensare alla cucina come tecnica, tradizione e sopravvivenza. La cucina è curiosità che può essere soddisfatta solo dalla novità. Per assottigliare, per rinnovare, per stupire, per esaltare, per rispettare.

E la tecnologia sta portando a tutto questo: siamo in un nuovo Rinascimento.

Andrea Strafile


Più di 30 Ambasciatori del Gusto sul palco a Identità Golose Milano 2019

«Condivisione delle capacità e scambio delle esperienze professionali. In un semplice concetto, fare rete per migliorare l’intero sistema della ristorazione italiana di qualità». La mission dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, così come raccontata dalla presidente Cristina Bowerman alla vigilia del Congresso Identità Golose, s’incastra perfettamente con il tema scelto da Paolo Marchi, ideatore dell’evento, nonché vicepresidente dell’Associazione, per la quindicesima edizione dell’appuntamento internazionale: Costruire Nuove Memorie. Così come chef, pasticcieri, pizzaioli, artigiani e gelatieri s’ingegnano per costruire nuovi piatti sperando di trasformarli in nuove memorie collettive, allo stesso modo l’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto cerca di costruire un nuovo paradigma scevro di personalismi e improntato alla collaborazione nel nome della cucina italiana.

Impossibile, quindi, per gli Ambasciatori del Gusto non replicare la partecipazione al Congresso milanese in programma da sabato 23 a lunedì 25 al Mico. Nello stand si susseguiranno le degustazioni a cura di Gioacchino Sensale e Corrado Scaglione nella giornata di sabato, Andrea Alfieri e Pasquale Caliri in quella di domenica e Lillo Freni, Giuseppe Romano e Sandra Ciciriello in quella di lunedì. Le degustazioni allo stand, dove chiunque potrà conoscere il lavoro degli Ambasciatori del Gusto e chiedere informazioni, è solo una parte dell’impegno degli associati nella tre giorni di Identità Golose Milano 2019. Sono oltre trenta gli Ambasciatori impegnati nelle sale.

TUTTI GLI APPUNTAMENTI DEGLI ADG. Sarà Antonino Cannavacciuolo il primo Ambasciatore a intervenire, sabato 23 al mattino, sul palco dell’Auditorium nell’ambito di Identità Tv, nuova sezione del programma. Lo chef campano dibatterà con Dante Sollazzo, capo autore di Endemol Shine, sul tema “Masterchef, nulla è stato più come prima”. “Rompere gli schemi: la prova del cuoco”, invece, sarà declinato da Davide Oldani con Antonella Clerici. Ancora in tema di televisione chiuderà Corrado Assenza, protagonista di un episodio di “The Chef’s Table”, con “La rivoluzione di Netflix”. Sempre sabato il programma delle altre sale vedrà ancora Corrado Assenza in una lezione di Dossier Dessert mentre Moreno Cedroni e Paolo Brunelli saranno in cattedra a Identità di Gelato. Nella sezione Contaminazioni ecco Roy Caceres e Antonia Klugmann. La chef triestina torna anche a Identità di champagne con Martina Caruso e Marta Scalabrini.

Domenica 24 si parte in Auditorium con Carlo Cracco a declinare il tema principale “Il fattore umano: costruire nuove memorie”. Ancora Cracco (che si rivede anche a Identità di pasta) con Andrea Berton, Massimo Bottura e Davide Oldani omaggeranno Alain Ducasse e chiuderanno Andrea Berton e Davide Oldani con i loro “Ricordi”. Paolo Griffa sarà impegnato nella lezione “Declinazioni” per Nuove Identità, Italia-Mondo; i fratelli Manuel e Christian Costardi, Iginio Ventura e Giancarlo Perbellini terranno i loro speech per Identità di formaggio; Oliver Glowig per Identità di Carne e, ancora, Caterina Ceraudo e Solaika Marrocco nella seconda giornata di Identità di Champagne. Grande attenzione sarà riservata agli appuntamenti di Identità di Sala. Non solo Enrico Bartolini, Giancarlo Perbellini e Niko e Cristiana Romito, ma anche la consigliera dell’Associazione Mariella Caputo, insieme a Mariella Organi che, con Dominga Cotarella di Intrecci e Laura Fratton, coordinatrice del settore Alberghiero e Alta Formazione di cucina e della ristorazione del Centro di Formazione Professionale Enaip di Tione di Trento, parlerà di Futuro e Formazione. Il futuro è rappresentato anche dagli studenti del quarto anno del Centro di Formazione Professionale Alberghiero di Amatrice che potranno seguire le lezioni del Congresso grazie alla collaborazione tra Ambasciatori del Gusto e l’Istituto Alberghiero.

Lunedì 25 sul palco dell’Auditorium saliranno uno dopo l’altro gli Ambasciatori Riccardo Camanini, Massimo Bottura, Paolo Marchi, Niko Romito, Andrea Ribaldone, Cristina Bowerman e Solaika Marrocco. E ancora nella sezione Pasticceria italiana contemporanea racconteranno la loro visione Corrado Assenza, Carmine Di Donna e Gianluca Fusto. Per Identità di pane e pizza in prima linea ci saranno Eugenio Boer, Massimiliano Prete, Gennaro Battiloro e Franco Pepe. Chiude Valeria Piccini impegnata a Identità di Champagne.

Identità Cocktail. Andrea Ribaldone, Viviana Varese, Cristoforo Trapani, Corrado Assenza e Riccardo Gaspari diranno la loro anche nella mixology.

I PARTNER. Tutti gli aderenti al Club dei Partner, vecchi e nuovi, daranno il loro contributo alla partecipazione degli Ambasciatori del Gusto al Congresso Identità Golose Milano 2019. Grana Padano, Pastificio Felicetti, Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, Società Agricola Trevi il Frantoio, Vini Allegrini e Santa Margherita offriranno i loro prodotti mentre CHS Group fornirà le stoviglie. Moretti Forni accoglierà gli Ambasciatori Franco Aliberti, Andrea Aprea, Renato Bosco, Davide Oldani, Moreno Cedroni e Aurora Mazzucchelli nel suo stand. Lo stesso farà Berlucchi con Battiloro.

Mariella Caruso


Cinquant'anni di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg

Nasce da uve glera coltivate sulle colline tra Conegliano e Valdobbiadene e rappresenta l’eccellenza qualitativa della produzione del Prosecco. Parliamo del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg che, ottenuto il riconoscimento della Denominazione di origine controllata nel 1969 come Prosecco di Conegliano Valdobbiadene Doc e poi la Denominazione di origine controllata e garantita nel 2009, ha appena compiuto il cinquantennale. «Il Consorzio fa riferimento alla produzione di un territorio di soli 15 Comuni nei quali è nato il successo del Prosecco che si trova a 50 chilometri da Venezia e a 50 dalle Dolomiti», spiega il presidente dello stesso Innocente Nardi.

Quali sono le caratteristiche di quest’area?

«Si tratta di un’area collinare con un microclima particolare, sia per lo scambio termico giorno-notte sia per la piovosità che raggiunge i 1200 mm all’anno, sia per il terreno calcareo che mantiene l’umidità. Queste caratteristiche permettono di produrre l’uva glera per il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore che rappresenta l’apice della piramide di tutta la produzione di Prosecco».

Oltre allo specifico territorio, quali sono le altre caratteristiche richieste dal Disciplinare?

«Le viti devono essere piantate in terreni esposti al sole, sulle cordonate est-ovest; non è ammessa la produzione con uve da fondovalle né in aree di ristagno idrico. Inoltre il quantitativo di produzione non può superare i 135 quintali per ettaro e per la categoria “Rive”, le cui aree di produzione sono in forte pendenza, c’è l’obbligo della vendemmia manuale».

Come fa il consumatore a riconoscere il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg?

«Innanzitutto dall’etichetta. Il primo requisito è che il nome Conegliano Valdobbiadene deve precedere Prosecco Superiore, il secondo è che deve essere Docg e non solo Doc e il terzo riguarda il sigillo di Stato che è una fascetta di colore marrone che deve riportare il numero della bottiglia, il logo e il nome della denominazione».

Nei quindici Comuni quante sono le aziende consorziate?

«3.300 viticoltori che testimoniano la grande artigianalità della coltivazione dell’uva glera e 185 aziende imbottigliatrici che, poi, immettono sul mercato il prodotto finito che può essere venduto esclusivamente in bottiglia. In alcuni casi i viticoltori imbottigliano direttamente il loro Prosecco Superiore Docg, in altri conferiscono il vino base alle aziende imbottigliatrici che possono spumantizzare soltanto in provincia di Treviso. Solo due aziende sono autorizzate dal Consorzio a farlo in provincia di Venezia perché nel 1969, quando fu introdotta la Doc del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, dimostrarono di essere perfettamente in regola con il disciplinare, eccezion fatta per la sede dell’ultima lavorazione».

Oltre alla certificazione e al rilascio delle fascette quali sono le altre attività del Consorzio?

«C’è l’attività di vigilanza per evitare l’uso improprio della certificazione; in caso di violazioni le segnaliamo all’autorità competente. È importante anche l’attività di formazione dei viticoltori che in questo momento si sta concentrando sulla sostenibilità e sull’applicazione delle moderne tecniche agronomiche a basso impatto aziendale. A questa si aggiunge l’attività di promozione della Docg sul mercato italiano e sui principali mercati esteri attraverso la formazione dei cosiddetti operatori o descrittori con l’organizzazione di Masterclass».

Per queste attività utilizzate fondi europei?

«Utilizziamo dei fondi Ocm vino per paesi terzi per promuovere la Docg nei Stati che non fanno parte dell’Unione Europea, al momento siamo concentrati sulla Svizzera che è il terzo paese per esportazioni (i primi sono Germania e Regno Unito), su Usa, Canada, Giappone e Cina attraverso Hong Kong».

Qual è la percentuale di esportazione del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg?

«Circa il 42% della nostra produzione che, tradotto in bottiglie, sono quasi 40 milioni».

Come si percepisce la differenza tra il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e l’altro Prosecco?

«La si può capire soltanto se si conosce il territorio di produzione e se si è operatori professionisti. Detto questo la produzione è limitata, per intenderci su 100 bottiglie di Prosecco sul mercato solo 16 sono di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg».

Viste le piccole dimensioni del territorio nei 15 Comuni dell’area di produzione, qual è attualmente il vostro obiettivo?

«Il nostro è un territorio maturo perché il successo del Prosecco ha fatto sì che questa piccola zona storica sia già interamente coltivata. La nostra mission, quindi, non è lavorare sull’aumento dei volumi ma quella di lavorare sulla percezione del valore del nostro prodotto».

Mariella Caruso


L'inasprimento delle pene non può essere l'unico deterrente per tutelare i prodotti italiani

Prevenire, garantire, tutelare e assicurare. Sono questi i cardini sui quali si muove la proposta di legge presentata dalla deputata Maria Laura Paxia, membro della X Commissione Permanente Attività produttive, commercio e turismo, in merito alla tutela dei prodotti nazionali e l’istituzione del marchio “100% Made in Italy”. Si tratta di una proposta di legge, la cui discussione è stata rinviata dopo l’esame in Commissione Giustizia, nella quale la sostanziale novità è l’inasprimento delle pene per i reati di contraffazione e di frode e l’introduzione di aggravanti (un terzo dell’aumento della pena) quando gli stessi reati vengono commessi utilizzando il web. Nella fattispecie a essere punita non sarebbe soltanto la messa in commercio dei prodotti contraffatti, ma anche la detenzione per la vendita. Da inasprire, sempre nelle intenzioni, anche le pene per chi la organizza «in modo sistematico, ovvero attraverso l’allestimento di mezzi e attività organizzate».

Tracciabilità ed etichettatura. Altra questione affrontata è quella che riguarda l’obbligo di tracciabilità e di etichettatura. In questo caso il metodo individuato sarebbe quello dell’inserimento del QR code, «al fine – si legge nell’art. 15 della proposta di legge – di consentire al consumatore e alle autorità competenti di conoscere, in modo chiaro e trasparente, il luogo di origine dei loro componenti o ingredienti, il luogo e le varie fasi di produzione e di lavorazione dei medesimi prodotti e l’intera filiera del loro percorso fino ai luoghi di vendita». Una maggior tutela è, inoltre, prevista per i lavoratori perché in ogni bene in vendita dovrebbe essere riportata la dicitura: «Questo bene è stato prodotto e lavorato senza ricorrere al lavoro minorile e nel pieno rispetto dei diritti umani e dei lavoratori». A garantire la tracciabilità e, di conseguenza, farsi carico della veridicità delle affermazioni sarebbe chi immette in commercio il bene in questione. I controlli, invece, come già avviene atterrebbero al Corpo della Guardia di finanza che potrà avvalersi della collaborazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e delle associazioni di categoria degli imprenditori.

Il marchio “100% Made in Italy”. Insieme ai controlli e all’inasprimento delle pene è prevista la creazione di un marchio “100% Made in Italy” del quale potrebbero fregiarsi soltanto i beni prodotti con materia prima italiana entro i confini nazionali. Di fatto una sorta di marchio di filiera che alcuni produttori del food, per esempio, hanno fatto proprio con altre denominazione e senza alcun “ombrello” legislativo per sottolineare l’autenticità italiana di alcuni prodotti destinati per lo più al mercato internazionale. È emblematico il caso della bresaola della Valtellina che pur essendo un prodotto Igp viene prodotta, senza alcuna violazione del disciplinare, prevalentemente con carni sudamericane; parallelamente alcuni produttori hanno firmato accordi per lo sviluppo di un progetto di filiera che incrementi lo sviluppo di bresaola con carne italiana.

Gli scogli. È una proposta di legge piena di buone intenzioni quella firmata dalla deputata del Movimento Cinque Stelle che, però, mette al centro le punizioni soffermandosi poco sui controlli. Non sempre le pene, come è risaputo, riescono a debellare fenomeni delinquenziali. Soprattutto quando come nel caso della contraffazione (ovvero quei prodotti realizzati per trarre in inganno) si tratta sovente di attività di vere e proprie industrie del crimine. Diverso, naturalmente, è il caso dell’italian sounding che riguarda prodotti non contraffatti, ma ugualmente ingannevoli in quanto realizzati con materie prime estere; questi prodotti evocativi di altri noti tipici della nostra creatività inducono in errore il consumatore che crede di comprare un prodotto italiano. Complicata sarebbe anche la questione di quello che dovrebbe essere il nuovo marchio “100% Made in Italy” perché rimangono gli ostacoli legati alla legislazione comunitaria che, nello specifico caso del food, potrebbe ravvisare la norma come un ostacolo allo sviluppo di altre imprese comunitarie.

A mancare, infine, salvo un generico articolo 17 sulla promozione di una «campagna di informazione sulla stampa periodica e quotidiana, sulla rete internet e sui mezzi radiotelevisivi al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni di cui alla presente legge, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del contrasto della contraffazione dei prodotti nazionali», è tutto ciò che riguarda la vera sensibilizzazione dei cittadini che, purtroppo, sono quotidianamente messi alla prova da etichette che, in maniera del tutto legale, rimandano a prodotti solo apparentemente locali. In alcuni casi basterebbe leggere bene l’etichetta per accorgersi della provenienza delle materie prime; in altri casi, invece, è tutto legalmente più subdolo.

Mariella Caruso


Al Molino Rachello le Oasi della qualità

La sesta generazione dei Rachello, mugnai di Roncade, provincia di Treviso, ha il volto di Sara. Ventotto anni, nipote di nonno Andrea classe 1930 cui è dedicata una linea di farine di tipo 1 e di integrali a tutto corpo, figlia e nipote di Gabriele e Gianni, Sara è entrata in azienda forte di un master in marketing e cultura del cibo e del vino. «La nostra è un’azienda familiare, molto legata al territorio in cui è cresciuta collaborando con tutte le realtà a esso collegate, dai clienti ai fornitori. Negli ultimi vent’anni abbiamo allargato il nostro mercato rivolgendoci all’industria della trasformazione grazie al nostro lavoro sulla qualità», racconta. Vent’anni sono trascorsi anche dal 1999, anno in cui Molino Rachello ha certificato in biologico una parte della sua produzione.«In quegli anni quello bio non era un movimento di massa, ma solo una nicchia. A spingere Molino Rachello verso il biologico – continua – è stato il desiderio di focalizzarsi su una produzione di qualità sempre maggiore».

Certificazioni e filiera. Attualmente gli enti certificatori di Molino Rachello, azienda «dalla vocazione sostenibile che ha la sua sede all’interno del Parco del Sile», sono CSQA di Thiene per l’ISO 9001 e l’UNI EN ISO 22005, e Suolo&Salute per la produzione biologica che arriva dalle cosiddette Oasi Rachello. A supervisionare la produzione di grani e cereali sono due agronomi incaricati dal Molino. «Visitano continuamente le aziende agricole che ci forniscono la materia prima e danno consigli sui cereali più adatti al terreno, sul periodo della semina e sui trattamenti da eseguire in modo da ottenere grani e cereali certificati di qualità superiore che poi ci permettono di ottenere prodotti eccellenti», spiega Sara Rachello illustrando le metodologie del controllo di filiera. Un controllo che, pur non così capillarmente, Molino Rachello esercita anche sull’acquisto di grani e cereali dall’estero. «La produzione cerealicola italiana non basta a soddisfare il mercato interno, inoltre determinati prodotti come le farine di forza che servono per esempio per i grandi lievitati come i panettoni difficilmente possano essere prodotte con grani italiani. Quelli più adatti, in questi casi, sono austriaci o tedeschi – puntualizza -. Anche in questo caso ci serviamo da fornitori selezionati e, inoltre, controlliamo ogni camion in entrata».

Molitura a cilindri. Al Molino Rachello la molitura è a cilindri, «una scelta che potrebbe sembrare un controsenso in un mercato che esalta, anche per questioni di marketing, la poetica della macinazione a pietra. Per quanto ci riguarda preferiamo offrire una maggiore sicurezza del prodotto riuscendo, comunque, a ottenere farine di pregio, che nulla hanno da invidiare a quelle molite a pietra, attraverso lavorazioni particolari».

Campi sperimentali. All’interno delle Oasi Rachello ci sono dei campi sperimentali «nei quali – spiega Sara – portiamo avanti ricerche in collaborazione con alcune Università tra cui, per esempio, l’assorbimento dei nutrienti dei grani». Altri cereali sui quali stanno lavorando nell’azienda trevigiana sono il farro e il Tritordeum. Quest’ultimo, spiega Sara, «è un incrocio naturale tra l’orzo selvatico e il grano duro ricco di nutrienti e con caratteristiche di alta digeribilità che è stato, inizialmente, brevettato in Spagna nella versione convenzionale; per quanto riguarda il biologico abbiamo l’esclusiva italiana per la gestione della granella e la macinazione».

I clienti in primo piano. «I nostri clienti sono seguiti personalmente dal nostro tecnico Michael Sartor che adatta la formazione alle esigenze di ognuno. Una modalità – sottolinea – che è risultata vincente proprio grazie alle sue caratteristiche sartoriali». Da poco, Molino Rachello ha cominciato a muoversi, in particolar modo con le farine delle Oasi attualmente dislocate in Veneto, Friuli e Toscana, nel mercato estero attraverso alcuni distributori interessati a distribuire farine italiane di qualità.

Mariella Caruso


Quanta energia viene usata in un ristorante e quali sono i modi per risolvere il problema

Il 40 %. Ecco quanto incide l’energia sui conti di un ristorante a fine mese. Almeno, se non di più. Il tutto dipende dall’esercizio commerciale che si prende in considerazione.

Siamo sempre portati a pensare che i costi maggiori siano quelli di personale e ingredienti. Perché sono gli intermediari diretti tra cliente e ristoratore. Quello che vediamo quando siamo seduti al tavolo. Ma quasi nessuno riflette invece sulla questione, importantissima, del risparmio energetico.

È stata celebrata appena un paio di settimane fa, il 23 di febbraio, la Giornata del Risparmio Energetico. Con l’iniziativa “Mi Illumino Di Meno”, le luci di più di cinquanta tra musei e siti archeologici si sono spente per qualche ora. Seconda trance, rivolta a tutti, il 1° marzo. L’iniziativa, lanciata dal Radio2 ormai quattordici anni fa nel 2005, cerca di sensibilizzare tutti a questo problema di spreco dannoso: la maggior parte dell’elettricità che consumiamo, infatti, viene prodotta da combustibili fossili non rinnovabili

Ma come fa un ristorante al giorno d’oggi ad affrontare il problema del risparmio energetico? Quali sono gli accorgimenti per rientrare di qualche costo in bolletta e fare del bene al Pianeta?

Tenendo presente che i consumi medi di un ristorante o bar sono pari a circa quelli di dieci famiglie insieme, si capisce bene che quello dell’energia rapportata alla ristorazione è un argomento di cui, sempre più, è necessario parlare. In un anno ognuno di questi esercizi consuma una quantità di energia elettrica quantificabile in 26.000 KWh. Che moltiplicato per tutti gli esercizi commerciali d’Italia arriva a 8,6 miliardi di KWh annui. Chi consuma di meno sono i bar e le pizzerie al taglio. Chi consuma di più – il triplo – sono i self-service.

Secondo quanto riportato da un rapporto della FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) del gennaio 2018, ci sono attualmente un numero di 250.000 lavastoviglie, 540.000 frigoriferi e 280.000 celle, che si sommano alle 200.000 macchine del caffè. Per un costo in bolletta medio che oscilla tra i 1500 ai 4000 euro bimestrali in bolletta.

La ristorazione è energivora perché i macchinari ne sono il cuore pulsante. Quelli uniti alla luce. I forni, i sous vide, i food-processor, le cappe, i fornelli, le friggitrici, le lavastoviglie, gli abbattitori. Si potrebbe riempire una pagina con tutto ciò che consuma energia in un ristorante.

Fortunatamente qualcosa si sta muovendo. Sia a livello legislativo, sia a livello di buona coscienza. Anzi, di buona imprenditoria, dato che risparmiare energia significa risparmiare anche denaro.

Ne è un esempio che racchiude tutte e tre i movimenti citati sopra, la legge varata il primo luglio del 2016 che ha obbligato gli esercenti ad acquistare frigoriferi di una determinata categoria energetica. Per ridurre gli sprechi del 30-40% e risparmiare in questo modo una cifra di 1000 euro circa annui. Solo sui frigoriferi.

Con l’intenzione di conoscere meglio i reali consumi e la loro incidenza sui costi, ho contattato uno chef e un pizzaiolo. Entrambi molto frequentati, entrambi che lavorano a pieno regime.

“In media il costo dell’energia rientra sui 3000 euro bimestrali”, mi ha detto Davide Del Duca, chef e proprietario dell’Osteria Fernanda di Roma. Il suo ristorante ha circa trenta coperti e, nonostante questo, rimane uno dei costi più alti. “Per fare in modo che tutto funzioni al meglio, abbiamo ampliato di tre volte la portata di Kilowatt. A consumare di più ci sono sicuramente forno e lavastoviglie. Per arginare il problema abbiamo installato solo luci a led a basso consumo e cerchiamo di spegnere i macchinari ogni volta che non servono.” Basti pensare alla pausa pomeridiana dal servizio: il più delle volte non ci si fa caso, ma tenere le macchine accese qualche ora per pigrizia rischia di essere un danno.

In una pizzeria i costi di energia sono sicuramente diversi, ma sempre incisivi. Massimiliano Prete nella sua nuova apertura Sesto Gusto, a Torino, utilizza solo energia rinnovabile. “Abbiamo un contratto con questa azienda, la eViso, specializzata in energia rinnovabile per le imprese.”, mi ha detto Massimiliano. “Il nostro dispendio più grande riguarda il forno elettrico, ovviamente. Ma cerchiamo di stare attenti e di monitorare il più possibile. A breve installeremo anche delle macchine per rilevare i consumi esatti per rilevare gli sprechi. Bisogna avere grande attenzione ai nuovi macchinari”.

E certo, la soluzione migliore per arginare il problema dello spreco energetico è quella di aggiornare la strumentazione. Per farlo ci sono a disposizione degli incentivi statali, che si rinnoveranno in caso la legge di bilancio dovesse essere varata a dicembre.

Ma lavorare sul grosso non basta. Abbattere costi e consumi semplicemente convertendo le macchine è utile, ma non può esistere da sola.

Per cambiare mentalità bisogna pensare all’insieme, al grande e al piccolo, non basta l’ultimo modello, serve essere sensibili.

Cambiare la lavastoviglie con gli incentivi è giusto, spegnere la luce quando non serve lo è ancora di più.

Andrea Strafile


Non semplici strumenti, i Forni Moretti sono ingredienti

«Per noi il passato è importante, ma lo è di più il presente e la visione del futuro», dice Mario Moretti. Classe 67,  terza generazione della dinastia imprenditoriale fondata da nonno Placido, Mario Moretti è l’amministratore delegato di Moretti Forni, azienda marchigiana leader assoluta nella produzione di forni statici per pizza che con il suo Neapolis 510 ha rivoluzionato il settore. E la sua dichiarazione d’intenti fa capire subito che a Mondolfo, in provincia di Pesaro Urbino, dove nel 2005 è stata trasferita la produzione, nessuno dorme sugli allori.

«Moretti Forni nasce nel 1946 in forma del tutto artigianale. Mio nonno era un elettricista e mise su una piccola officina per la costruzione di forni su misura. Nel 1965, poi, mio padre Marco con il cognato diedero vita a Marotta uno spin off, la Moretti Forni Snc, improntata sulla produzione industriale in serie, che nel 1990 è diventata una Società per azioni», racconta l’ad in azienda dal 1994.

«Oggi siamo il numero uno, sia per fatturato sia per dimensione del mercato dei forni per pizza – sottolinea -. Come azienda ci siamo concentrati sui forni professionali per lievitati per il retail e al mercato internazionale dove, attualmente, è destinato quasi il 75% della nostra produzione che esportiamo in 120 Paesi. Già negli anni 70 eravamo presenti in Europa, ma la grande espansione comincia negli anni 2000 grazie ad accordi con grandi distributori esteri che oggi ci hanno permesso di essere riconosciuti come i più autorevoli produttori internazionali e leader in paesi come Australia, India, Canada e Stati Uniti».

I riconoscimenti sono frutto di un lavoro senza sosta. «L’imprinting aziendale, che è anche personale, è non sentirsi mai appagati. I successi ottenuti ci danno una spinta motivazionale importante che ci consente di puntare lo sguardo sempre in avanti. La nostra è un’azienda molto dinamica che non è mai uguale a se stessa», spiega con lo stesso orgoglio con cui rivendica la paternità dei due claim «registrati» – “Il calore è un ingrediente” e “Smart baking” – che rappresentano la mission aziendale. «Oltre alla scelta delle materie prime, è importante capire che anche il calore è un elemento fondamentale per la riuscita di ogni prodotto».

SOLUZIONI, NON PRODOTTI. «Noi offriamo soluzioni, non prodotti. Il nostro è un bene strumentale attraverso cui il nostro cliente fa business utilizzandolo tutti i giorni – fa notare Moretti -. Questo significa che deve avere precise caratteristiche: fruibilità, risparmio energetico, garantire la perfetta cottura in un mercato tecnologico in continua evoluzione che noi cerchiamo di anticipare». Un’altra caratteristica fondamentale di Moretti Forni è la «disponibilità all’ascolto mettendoci sempre in discussione». Oltre al personale tecnico Moretti Forni si affida anche a professionisti della ristorazione che, da consulenti, ci affiancano sia per lo sviluppo dei prodotti, sia per i nostri workshop. «Ultimamente, oltre a pizzaioli, come Renato Bosco, Salvatore Lionello, Diego Vitagliano e Gino Sorbillo, pasticcieri come Mauro Morandin che ci ha aiutato nella messa a punto del nostro forno statico per pasticceria, Luigi Biasetto e Gianluca Fusto, abbiamo cominciato a collaborare con alcuni chef stellati con cui abbiamo cominciato un percorso legato al forno Proven 400», continua Moretti. Proven 400 è un forno professionale a tutti gli effetti che è integrabile anche in casa perché è incassabile, rispetta tutti i rigidissimi standard di sicurezza domestici e funziona perfettamente con i 3 Kwh di utenza domestica. «Oltre al design, del quale si è occupata Federica  Anniballi, architetto dello Studio AP Architetti, tra le altre caratteristiche di Proven 400 ci sono un piano in pietra intercambiabile con uno in lamiera bugnata per la cottura in teglia, sonda al cuore per i grandi lievitati, valvola automatica per lo scarico vapore e vaporizzazione interna per la cottura del pane. Intravediamo – conclude Moretti – un futuro per tutti i lievitati, dal panettone in poi che noi pensiamo debba essere consumato tutto l’anno».

Mariella Caruso