Street food: cibo tradizionale, specialità gastronomica tipica della cucina locale, regionale, etnica, che si consuma spesso passeggiando, anche in occasione di fiere e manifestazioni popolari. È questa la definizione con la quale la Treccani ha inserito nel 2008 nel proprio vocabolario il neologismo “street food”. Nel decennio trascorso da allora lo street food è cresciuto diventando una moda: l’Italia pullula di manifestazioni che lo richiamano. Giovedì 30, per esempio, è la volta di Straordinario, festival gastronomico di street food nato da un’idea dell’Ambasciatore del Gusto Andrea Graziano e di Barbara e Marco Nicolosi della tenuta Barone di Villagrande in programma a Milo, sulle pendici dell’Etna, giunto alla sua quarta edizione.

Cos’è oggi lo street food? «Attualmente c’è in atto una ricerca di semplicità rispetto a ciò che offre il mondo della gastronomia. Per questo lo street food, che per definizione è un cibo di facile consumo che riconcilia con il territorio e la tradizione, viene interpretato trasversalmente con più contaminazione. Qualcosa che va oltre e che mette fianco a fianco grandi chef e giovani promesse», osserva Graziano che a Straordinario, tra i venti chef, ha chiamato, tra gli altri, anche Ambasciatori del Gusto: il panettiere peloritano Francesco Arena, il pizzaiolo romano Gabriele Bonci e quello veneto Simone Padoan e il campano Pasquale Torrente, che a Cetara all’Osteria Al Convento ha affiancato una “cuopperia” gestita con il figlio Gaetano.

Qualità da asporto. «Tutti ormai sembrano essersi dedicati allo street food, ma a fare la differenza sarà sempre la grande tradizione di qualità: panino al lampredotto, arancino, pizza fritta», sottolinea Torrente pronto a porre il suo veto su tutto ciò che, a suo parere, street food non è. «Non me ne voglia chi spaccia per cibo da strada altre preparazioni, in quel caso si tratta di una questione economica perché non c’è dubbio che un assaggio gourmet si gusta meglio seduti al tavolo di un ristorante», continua lo chef che ha tra i suoi must lo spaghetto con la colatura di alici.

Intramontabili classici. «Oggi c’è la tendenza a trasformare qualunque piatto in pietanza da street food. Questo sta facendo perdere il contatto con ciò che è davvero il cibo da strada, qualcosa che può cuocere semplicemente dalla forte caratterizzazione territoriale», osserva Arena pronto a ricordare “taiuni” («l’ultimo tratto dell’intestino bovino, il digiuno») e “virina” («un taglio delle mammelle della mucca»), classici dello street food peloritano. «Ogni luogo ha le sue tradizioni che, quando questa rivoluzione passerà, spero si rinnovino perché sono una ricchezza».

Cibo d’apparenza. Dalla Sicilia al Veneto con Simone Padoan il cui concetto di street food è legato a doppia mandata ai cicchetti veneziani. «Cibo rurale povero “mordi e fuggi”, utile per accompagnare un bicchiere di vino o un aperitivo: l’uovo sodo, un pezzo di polenta fritta che fa pare della cultura del luogo. Oggi mi pare che ci stiamo facendo molto trascinare dalle cose fino a far diventare street food quelli che non lo è», riflette Padoan. «Purtroppo tornare indietro sarà molto difficile perché la cultura è cambiata – ammette il maestro pizzaiolo veneto -. Però non bisogna demonizzare tutto di questo nuovo street food che sta diventando l’anello di congiunzione tra la gente e gli assaggi gourmet che, con questa formula, diventano alla portata di tutti». Il rovescio della medaglia, però, è «che questo street food diventi una cosa da fighetti col rischio – conclude Padoan – che diventi solo un modo per riempirsi la bocca fatto di tanta apparenza e poca sostanza».

Mariella Caruso