«Il pane è il primo alimento di una grande tavola, è alla base della storia dell’uomo. Il pane è condivisione, incarna in sé la storia dei popoli, dei loro usi e costumi e della sacralità. È un elemento prezioso che ha il colore dell’oro», dice Antonio Cera, il fornaio economista che a San Marco in Lamis ha appena messo in archivio la prima edizione di Grani Futuri, evento nazionale del Pane, dove è stato presentato “Verso i Grani Futuri – Il Manifesto Futurista del Pane”. Che non poteva che nascere in Italia. «Il nostro è il Paese che ha un tipo di pane diverso in ogni Comune, anzi in ogni frazione di ogni Comune», sottolinea Cera. Laurea in Ecomomia alla Bocconi, poi il ritorno in Puglia, a San Marco in Lamis nei pressi della Grotta di Paglicci dove è stata ritrovata la farina più antica del mondo risalente a 32mila anni fa, per prendersi cura del forno Sammarco. «E per lavorare al progetto del Manifesto Futurista del Pane – spiega – il cui obiettivo principale è creare una cultura del pane sia in chiave gustativa, sia nutrizionale».

LA CULTURA «SCOMPARSA» – Quando è “cambiata” la cultura del pane in Italia? «Forse la scomparsa dell’identità italiana della cultura della panificazione è cominciata negli anni 80 con l’avvento dei paninari, in quel momento non si è più riconosciuto nel pane un elemento da valorizzare. Contemporaneamente si è inserita l’industria chimica, sono arrivati i miglioratori e si è diffusa la produzione industriale. Sia chiaro che il problema non è l’eventuale congelazione del pane, ma sapere qual è la materia prima e il metodo di lavorazione del prodotto. E in Italia non esiste alcuna legge di tutela», continua. Per questo oggi esiste l’esigenza di far riscoprire l’antica cultura attraverso un progetto nel quale anche gli Ambasciatori del Gusto possono avere un ruolo importante. «Gli Ambasciatori del Gusto – spiega Cera – possono diventare sostenitori del Manifesto facendo un’autodichiarazione di adesione e indicando i tre prodotti nella cui produzione s’impegnano a rispettare il Manifesto che stabilisce quali sono le tecniche di coltivazione, il tipo di grano da utilizzare, le tecniche di molitura con il ricorso alla pietra naturale, la tipologia delle farine, l’impegno a non utilizzare miglioratori, l’utilizzo del lievito madre, il tipo di lavorazione e la cottura».

IDEALI – «Quando a muovere un uomo è un ideale e non il profitto si possono ottenere risultati inimmaginabili: sono felice per il successo di Grani Futuri a San Marco in Lamis, ma mi piacerebbe avere un’eco forte sull’argomento anche internazionalmente. All’estero la gente deve sapere che in Italia si coltiva grano di qualità», argomenta l’economista panificatore. «Voglio creare tendenza andando controtendenza, così come è successo con il Panterrone (panettone di grano arso di sua invenzione, ndr). Dove voglio arrivare? Lì dove non è arrivato Slow Food: mi piacerebbe sostituire il concetto di filiera con quello di catena alimentare, dove ogni partecipante interagisce con tutti gli altri».

LA LEGGE CHE NON C’È – In Commissione Agricoltura della Camera è in esame la proposta di legge sulle disposizioni in materia di produzione e vendita del pane. Il testo è del deputato del Pd Giuseppe Romanini e, attraverso la costituzione di un Comitato ristretto, si è giunti all’elaborazione e all’adozione di un testo base, condiviso dalle principali associazioni di settore. La proposta consiste in un nuovo quadro normativo che stabilisca le regole fondamentali per la denominazione dei vari tipi di pane da commercializzare: fresco, intermedio, scongelato, e ovviamente anche che tipo di lievito viene usato. «È importante – ha spiegato l’onorevole Colomba Mongiello, anch’ella pugliese, componente della XIII Commissione Agricoltura – tutelare il consumatore che a volte si ritrova nei supermercati a comprare del pane pensando che sia appena sfornato senza rendersi conto che invece è stato semplicemente scongelato. Ma è importante anche ampliare il discorso al riconoscimento delle farine, integrali o meno e al come distinguerle». Anche in questo gli Ambasciatori possono farsi portavoce di una cultura millenaria.
Mariella Caruso