“Fiscalità: la giusta ricetta” è il tema che aprirà il convegno degli Ambasciatori del Gusto “Italia-Mondo Andata e ritorno” organizzato all’Antonello Colonna Open il 2 ottobre in occasione del primo compleanno dell’Associazione che si propone di rafforzare l’identità enogastronomica italiana, favorendo gli scambi e le relazioni di chi opera nella ristorazione in Italia e all’Estero, trasmettendo il rispetto per il cibo, evitando gli sprechi e promuovendo la sostenibilità ambientale.

«Normalmente cuochi o chef provengono da un background scolastico specialistico nelle professionalità della cucina. Sono abili o particolarmente talentuosi nella preparazione dei piatti, nella conoscenza dei vini e, via via, si sono poi allargati nella gestione di sala e nella gestione dell’efficienza dei conti», argomenta Severino Salvemini, economista e professore ordinario di organizzazione aziendale all’Università Bocconi di Milano che con il presidente degli Ambasciatori del Gusto Cristina Bowerman, il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Roma generale Cosimo Di Gesù e il vicepresidente Fipe Confcommercio di Roma Massimo Guarneri parteciperà alla tavola rotonda “Fiscalità: la giusta ricetta”. «L’azienda è qualcosa di più di un ristorante: significa gestire risorse umane, occuparsi degli aspetti finanziari, preoccuparsi del marchio e del brand della ristorazione e, successivamente, anche occuparsi impreditorialmente della strategia prospettica», continua.

«Faccio un esempio: nel momento in cui un ristoratore conquista una stella potrà dover decidere se andare alla ricerca della seconda stella, se replicare il ristorante geograficamente o se allargarsi con un altro format ristorativo – spiega Salvemini -. In genere gli chef alle prese con questo tipo di problematiche possono essere un po’ in difficoltà: è complicato, infatti, per uno chef assumere anche il ruolo di imprenditore o di amministratore delegato. Probabilmente, è anche giusto che sia così perché uno chef non deve obbligatoriamente essere un imprenditore. Questa è una storia che si ripete in altri settori che hanno in sé elementi estetici come la moda, il design, dove stilista o designer spesso non incarnano la figura dell’imprenditore che porta avanti l’azienda. Moda e design italiano, però, sono riusciti a crescere fino a diventare una potenza internazionale. Questo non è ancora riuscito al settore della ristorazione che continua a essere molto domestico. In questo momento siamo ubriacati da una campagna mediatica che fa sembrare gli chef i nuovi eroi, ma questo vale solo entro i nostri confini. Economicamente parlando le grandi potenze non sono italiane, ma catene tedesche, francesi, inglesi a volte capitanate da grandi chef come Gordon Ramsey, Alain Ducasse, Daniel Boulud. Questo è un tema importante dal punto di vista aziendalistico che merita una riflessione».

Riflessione che sarà fatta al Convegno insieme al focus sulla fiscalità.

«Non è detto che per la ristorazione italiana la strada obbligata sia quella di crescere, esistono anche nell’ambito degli Ambasciatori del Gusto ristoratori che preferiscono rimanere piccoli, però occorre rendersi conto che in questo modo la presenza italiana così come la sua forza internazionale rimarrà piccola e circoscritta. Bisogna capire allora se la presenza degli Ambasciatori fuori dai nostri confini, spinta anche dal Ministero degli Esteri, deve rimanere solo un esempio di creatività o trasformarsi invece in qualcosa di carattere economico serio e conquistare quote di mercato anche all’estero».

Mariella Caruso