I ristoratori amano i bambini? Senz’altro amano i propri. Il rapporto diventa più complicato quando i bambini sono ospiti dei loro locali. La questione è annosa, e purtroppo, nella maggior parte dei casi, irrisolta. Oggetto del contendere è il comportamento dei più piccoli al ristorante che può annoverare capricci, schiamazzi, richieste di fuori menù che possono diventare un problema se la carta è rigida. Se alcuni ristoratori si sono, via via, adeguati alle esigenze delle famiglie e altri, più o meno garbatamente, si dimostrano restii ad accettare prenotazioni di famiglie con bambini, c’è chi arriva anche (in barba alla legislazione) a dichiararsi “childfree”. La questione è aperta e, con essa, si pone anche un interrogativo: il crescente disinnamoramento dei ristoratori nei confronti dei bambini sarà un danno nel futuro? Potrà una generazione di bambini non avvezzi a un certo di tipo di allenamento del gusto essere pronta a diventare il “cliente gourmet” di domani?
L’abbiamo chiesto a Paolo Corvo, docente di sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e a Elena Tugnoli, psicologa e socia fondatrice di Nutrimente Onlus. «Esiste un problema generale di educazione alimentare dei bambini – attacca il prof. Corvo – All’attenzione riservata all’alimentazione nei primi due/tre anni di vita seguono fasi in cui i genitori prestano molta meno cura lasciando i piccoli in balia all’alimentazione da fast food. La mia impressione è che essendo pranzo e cena fuori casa diventati momenti importanti di ricerca anche di emozioni, forse i bambini non sono più così graditi». C’è poi il nodo delle portate da adattare ai bambini. «Alcuni locali – continua Corvo – non sono attrezzati per soddisfare le richieste dei bambini, alimentari e no. Anche perché, stavolta mi metto nei panni dei bambini, magari non è piacevole per loro trascorrere due ore al ristorante. Magari sarebbe bene cominciare a portare i bimbi in pizzerie e trattorie anche se, anche lì, i clienti sono sempre più suscettibili». «Difficile, però, valutare adesso le ripercussioni nel futuro – osserva -. Questo dipenderà molto dal tipo di educazione alimentare ricevuta che dipende dalla famiglia e dalle mense scolastiche, le due “agenzie” che dovrebbero introdurre i più piccoli alla conoscenza del cibo, senza trascurare nel caso della scuola la qualità, il chilometro zero e i piatti multietnici. Non bisogna dimenticare che tante abitudini si acquisiscono nella giovane età».
«In termini generali non si può dire che se un bambino non è stato abituato a frequentare i ristoranti non ne diventerà cliente in futuro. Magari crescendo, in un primo momento, potrà esserne inibito o, al contrario, esserne oltremodo incuriosito – osserva la dottoressa Tugnoli -. Il problema non è tanto che il bambino familiarizzi con l’esperienza del consumo dei pasti al ristorante, quanto il tipo di esperienza vissuta». Esperienza che, non essendo usuale, spiega la psicologa «dipende dal modo in cui i genitori riescono a gestire l’ansia e l’eccitazione del proprio figlio e scegliere il locale giusto. Se questo percorso sarà fatto nella maniera adeguata farà crescere bambini che, da adulti, frequenteranno il ristorante in maniera “civile”». Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della scoperta. «Al ristorante un bambino non utilizza soltanto il gusto, ma anche altri sensi come la vista, quindi il suggerimento potrebbe essere quello di far vivere ai bambini un’esperienza diversa: quella di una giostra del gusto», continua. «Purtroppo, invece, l’abitudine dei genitori è quella di scegliere per i propri figli piatti scontati: pasta al pomodoro e cotoletta con le patatine non sfruttando l’occasione di fargli vivere un incontro con qualcosa di nuovo stimolando la curiosità dei sensi. Naturalmente il bambino deve essere pronto sia dal punto di vista culturale che dipende dal tipo di educazione alimentare ricevuta, sia da quello caratteriale».
Mariella Caruso