«Negli anni Settanta quando iniziai la mia avventura nel mondo della ristorazione, le poche cose sicure su cui potevo contare erano la mia passione per il vino e il fatto che avevo pochi soldi in tasca. Certamente sognavo il successo, ma non potevo immaginare cosa sarei riuscito a realizzare». Così l’Ambasciatore del Gusto Giorgio Pinchiorri, sommelier e titolare con la compagna Annie Feolde dell’Enoteca Pinchiorri, uno dei dieci tristellati Michelin.

Cosa significa per Lei essere il fondatore di uno dei ristoranti più rinomati al mondo che porta il suo nome accoppiato alla passione della sua vita, il vino?

«È la dimostrazione che si può credere nella realizzazione di un sogno; ma bisogna costruirlo con passione ed essere disposti a fare dei sacrifici. Non è stato facile, ho dovuto fare molte rinunce per arrivare dove mi trovo. Sicuramente la passione per i vini e la cantina, costruita negli anni con tanti sforzi, sono state le chiavi del successo, ma poco avrebbero contato se non fossero cresciuti di pari passo la cucina, l’ambiente e soprattutto se non avessi avuto dei validi collaboratori. Alcuni dei più capaci collaboratori sono con me da più di 25 anni, altri hanno proseguito la loro strada e si sono affermati efficacemente nel mondo della ristorazione stellata».

Nella sua presentazione del sito dell’Enoteca Pinchiorri si definisce un uomo impulsivo. Qual è la cosa più impulsiva che ha fatto?

«Mi definisco un uomo impulsivo per le decisioni che spesso prendo apparentemente senza pensarci, ma forse l’impulsività a volte è solo la capacità di riflettere più velocemente; anche chi riflette a lungo sulle decisioni può commettere degli errori. Io con la mia impulsività di errori ne ho commessi tanti e spesso mi sono costati cari, ma alla stessa maniera ho saputo prendere anche decisioni fondamentali e vincenti in un batter d’occhio. Fra le tante cose più impulsive che ho fatto, ci sono stati sicuramente degli acquisti di vino: a volte si sono rivelati giusti, altre sbagliati».

Cos’è per lei essere un sommelier?

«I miei primi passi nel mondo dei sommelier li ho compiuti con l’Ais di Firenze, poi lungo il mio percorso ho incontrato uno dei più grandi Maestri del nostro tempo, Luigi Veronelli il quale, grazie al nostro grande rapporto di amicizia, mi ha trasmesso molto del suo infinito sapere. Oggi ci sono tantissime opportunità e nuovi mezzi di comunicazione a disposizione dei giovani per poter acquisire e accrescere le competenze necessarie per diventare sommelier. Di pari passo bisogna però sviluppare anche la capacità di relazionarsi con una clientela sempre più competente ed esigente. Acquisire una sensibilità che consenta di capire e rispondere al desiderio dei clienti di vivere e condividere delle emozioni, non solo attraverso le creazioni degli chef ma anche grazie alla magia di un bicchiere di vino. Senza però dimenticare l’aspetto commerciale legato a questo ruolo, che deve essere in sintonia con le scelte e le esigenze economiche dell’azienda».

Com’è cambiata negli anni la visione dell’enoteca nella ristorazione?

«Negli anni ’70 quando cominciai a collezionare vini, a fianco delle grandi etichette cercavo sempre qualche nuovo produttore da poter proporre ai miei clienti. Molti, sconosciuti all’epoca, sono oggi affermati, alcuni addirittura dei miti e i loro vini spesso sono introvabili o molto costosi. Attualmente non è facile come un tempo creare una cantina con tante eccellenze, può voler dire fare i conti con le difficoltà di reperimento delle bottiglie e con impegni economici importanti. Allo stesso tempo, oggigiorno vi sono tante giovani realtà che guardano a una produzione qualitativa nel rispetto del territorio e offrono l’opportunità di formulare proposte ampie, valide e molto interessanti. Bisogna sempre ricordare che una valida cantina è quella che riesce a far “girare” i vini soddisfacendo sia le esigenze dei clienti sia quelle aziendali. Il lavoro del sommelier responsabile diventa quindi importante e fondamentale».

Quali vini non dovrebbero mai mancare nell’enoteca di un ristorante?

«Nella scelta influiscono molti fattori. Considerare il territorio in cui si opera, valutare bene la clientela che frequenta il locale, essere in sintonia con le impostazioni aziendali sono alcuni fattori che devono essere considerati. Conta poi il fattore personale; le esperienze e il gusto del sommelier possono delineare la personalità della carta dei vini. Personalmente ho sempre avuto predilezione per i Grandi Vini sia italiani sia internazionali e nella mia cantina non sono mai mancate le etichette più prestigiose. Ho sempre dato rilevanza ai vini italiani e in particolar modo alla Toscana in quanto terra di grandi vini e territorio in cui opero. Ma ho anche un grande amore per la Borgogna e per il Bordeaux e non potrei rinunciare allo Champagne, ai grandi vini californiani, spagnoli, tedeschi».

Lei che è stato il precursore della vendita al bicchiere di vini pregiati, vede attualmente qualche tendenza che possa rivoluzionare il mondo del servizio del vino?

«Il consumo del vino è molto cambiato negli ultimi anni. Oggi è molto più consapevole e più attento alla qualità. Sicuramente girano molte idee, ma la vendita al bicchiere rimane ancora la più praticabile. Noi da sempre proponiamo numerosi vini in degustazioni serviti al bicchiere, ma non sempre le Grandi Etichette possono essere proposte a bicchiere. Pensando proprio a queste Grandi Etichette, ultimamente stiamo pensando a una formula di condivisione di una grande bottiglia».

Quali sono i vini italiani che, a ragion veduta, potranno essere i prossimi Ambasciatori del Gusto nel mondo?

«Ci sono tantissimi vini in Italia che hanno le qualità per essere Ambasciatori del Gusto italiano nel mondo. In questi ultimi anni ho potuto seguire e apprezzare tanti ottimi vini, posso citare lo Studio di Bianco di Borgo del Tiglio; le meravigliose selezioni della cantina di Terlano; Helena, il Nero di Troia riproposto dai Vignaioli Vespa; il Gattinara Vigna Molsino, della storica cantina Nervi oggi guidata da Giacomo Conterno; due interessantissime novità della Famiglia Antinori: Il Matarocchio, un Cabernet Franc prodotto nella Tenuta di Guado al Tasso e Ampio delle Mortelle, un Carménere, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon prodotto nel Grossetano e… potrei continuare a lungo».

Mariella Caruso