Dominga Cotarella, con le sorelle Marta ed Enrica, fondatrice della scuola di alta formazione di sala “Intrecci”, è la seconda voce nella rubrica sull’etica del lavoro.
«L’ideale per ognuno di noi è fare il lavoro che si ama: quella che, in apparenza, potrebbe sembrare una dichiarazione scontata, implica che ogni lavoro di questo tipo si fa con passione e divertimento. E il lavoro di sala non sfugge a questa regola». Così Dominga Cotarella, fondatrice con le sorelle Marta ed Enrica della scuola Intrecci – Alta Formazione di Sala approccia il tema dell’etica nei mestieri di sala.
«Non esiste un lavoro per il quale non si debba sacrificare qualcosa e, tra le attività della ristorazione, il lavoro di sala è tra i più pesanti. Però – sottolinea – è sempre bene fare un bilancio tra ciò che il lavoro ti dà e ciò che ti prende. Ed è questo che dico sempre ai ragazzi perché è fondamentale fare questo lavoro perché si ama, come una missione di vita e non in attesa di qualcos’altro».
L’ETICA DEL LAVORO DI SALA. Entusiasmo ed energia sono le due qualità necessarie, secondo Cotarella, «insieme alla passione» per dedicarsi al lavoro di sala. «Il nome che abbiamo dato alla nostra scuola, Intrecci, deriva dalle tre “C” che muovono il nostro mondo, ovvero cultura, coraggio e curiosità che, nel caso della sala, si declinano in classe, carattere e calore che attengono strettamente al concetto di etica».
«In ogni rapporto di scambio l’etica è fondamentale. In sala c’è un rapporto a due tra il cliente e l’operatore di sala che s’interfaccia con lui: la correttezza, il rispetto e l’ascolto sono fondamentali», fa osservare Cotarella che punta la sua attenzione sull’ascolto. «Ascoltare l’altro è la base di ogni etica professionale e in una società in cui ognuno pensa solo a parlare non è facile», continua la co-fondatrice di Intrecci. Fa parte dell’etica anche la classe, «che è charme, capacità di comprendere se il cliente vuole più o meno privacy, parlare della scelta di un vino rispettando i suoi desideri e facendoli, per quanto possibile, armonizzare con le esigenze del ristorante».
E poi c’è il «rispetto – aggiunge – per i colleghi, del ruolo e della gerarchia».
IL RICONOSCIMENTO ECONOMICO. Questo è uno dei temi al centro dell’attenzione insieme al riconoscimento sociale di questo reparto così importante all’interno di un locale. «Non parlo della “tip” che, per esempio, in posti come New York rappresenta il 50% della retribuzione di chi lavora in sala – chiarisce Cotarella -. I primi a non credere al lavoro di sala sono gli stessi che ci lavorano e che approcciano questo lavoro come un aiuto per pagare l’università o arrotondare».
Per questo, è convinta, «bisogna rimettere in discussione il sistema e riconoscere questo ruolo anche economicamente perché la domanda è alta e l’offerta qualitativamente bassa per i motivi già sottolineati».
COME CAMBIARE LE COSE. «Non sarà facile e l’unica strada possibile è quella della formazione. Sono ottimista sul fatto che il valore aggiunto di un professionista potrà fare la differenza perché il mercato la riconoscerà anche economicamente. Questo è quello cui puntiamo a Intrecci, non certo a formare portapiatti.
Non dico che i ragazzi non possano servire a tavola per pagarsi gli studi, ma quello è qualcosa che può fare il paio con l’andare ad aiutare a fare una vendemmia o una stagione in un periodo estivo», spiega con grande chiarezza. Il punto di debolezza di una professione in crescita è rappresentato dal fatto che gli operatori di sala lavorano quando gli altri riposano. «Serve far diventare “figo” il lavoro di sala così come lo è diventato quello di chi lavora in cucina.
Purtroppo in Italia siamo ancora in ritardo: quando al Miur abbiamo presentato il progetto Intrecci abbiamo dovuto spiegare che anche i lavori di sala hanno bisogno dell’alta specializzazione. Però – conclude – c’è un’attenzione che sta facendo correre tutto il settore e sono convinta che nel giro di due/tre anni ci sarà una grande crescita alimentata proprio dall’alta formazione».
Mariella Caruso