Attenti, è importante: L’Arte del Pizzaiuolo Napoletano, e non la pizza napoletana in sé, per quanto preziosa e importante sia, è diventata parte integrante del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità come ricordato nel sito del Ministero delle Politiche Agricole che ha seguito tutto l’iter. L’annuncio della decisione, presa all’unanimità, è arrivato da lontano, dall’Asia, da Jeju in Corea del Sud dove si era riunito il vertice dell’Unesco.
La motivazione dell’organismo delle Nazioni Unite fissa una pagina di storia per questa forma di arte bianca e ristorazione, una descrizione che va ben oltre le varie fasi della preparazione, cottura e consumo del “disco d’oro”. Per l’Unesco «il sapere culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere, è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Tutto questo si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale».
Ha dichiarato a sua volta il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina : «Il Made in Italy ottiene un altro grande successo – afferma il Ministro Maurizio Martina – È la prima volta che l’Unesco riconosce quale patrimonio dell’umanità un mestiere legato ad una delle più importanti produzioni alimentari, confermando come questa sia una delle più alte espressioni culturali del nostro Paese. È un’ottima notizia che lancia il 2018 come Anno del Cibo. L’arte del pizzaiuolo napoletano racchiude in sé il saper fare italiano costituito da esperienze, gesti e, soprattutto, conoscenze tradizionali che si tramandano da generazione in generazione. È un riconoscimento storico che giunge dopo un complesso lavoro negoziale durato oltre 8 anni, che premia l’impegno del Ministero al fianco delle associazioni dei pizzaiuoli. Ringrazio le istituzioni locali, la Regione Campania, gli esperti del Ministero e tutti quelli che col loro impegno hanno reso possibile questo risultato che ribadisce il ruolo di primo piano svolto dal nostro Paese nel valorizzare la propria identità enogastronomica».
Da ammirare il lungo lavoro che ha portato al successo, un percorso iniziato nel 2009 a livello di Mipaaf, ministro allora il veneto Luca Zaia, per proseguire grazie alle associazioni napoletane di categoria e alla Regione Campania, con il dossier della candidatura e la delegazione coordinati dal professor Pier Luigi Petrillo. Importante anche il lavoro a 360° di Alfonso Pecoraro Scanio, già ministro delle risorse agricole e poi dell’ambiente, attuale presidente della fondazione Univerde. Grazie al contributo di decine e decine di persone all’Unesco la candidatura è stata supportata da due milioni di firme.
Nessun altro Paese vanta un così alto numero di beni patrimonio dell’umanità: 54. E va esclusa la Dieta Mediterranea perché la condividiamo con Marocco, Spagna, Grecia, Cipro, Croazia e Portogallo. Per Napoli è un bis e non un debutto: nel 1995 il suo centro storico divenne patrimonio dell’umanità. Ventidue anni dopo tocca al suo piatto più famoso la mondo. Ha detto ancora il ministro Maurizio Martina andando oltre l’arte della pizza partenopea: «Nel 2010 è arrivata la proclamazione della Dieta Mediterranea, primo elemento culturale al mondo a carattere alimentare iscritto nella lista dell’Unesco; nel 2014, il riconoscimento della coltivazione della “Vite ad alberello” di Pantelleria, primo elemento culturale al mondo di carattere agricolo riconosciuto dall’Unesco. Ora “L’Arte del Pizzaiuolo Napoletano”. Dei 6 elementi italiani riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’umanità, 3 sono riconducibili al patrimonio agroalimentare, a conferma che in Italia il cibo e l’agricoltura sono elementi caratterizzante la cultura del Paese».
Un Paese che si deve preparare al meglio per un Anno del Cibo ormai prossimo. Al 2018 mancano tre settimane.