Genialità e rigore sono due concetti apparentemente inconciliabili. A meno che non ci si addentri nel mondo della pasticceria, dove il rigore è fondamentale per la riuscita di ogni preparazione e la genialità serve a distinguere il semplice esecutore dal pasticcere talentuoso. Con l’Ambasciatore del Gusto Gianluca Fusto, interprete geniale e rigoroso della pasticceria italiana, facciamo il punto sullo stato dell’arte e sulle tendenze del settore.
«La pasticceria italiana sta tornando alla concretezza delle origini – osserva Fusto – a un equilibrio che porta in primo piano le preparazioni di base come creme, frolle, bisquit, cioccolato, anche se prima che ci sia coscienza di questo cambiamento in atto passeranno ancora almeno due anni».
Cosa intende per ritorno all’equilibrio?
«Replicare nel mondo della pasticceria contemporanea quello che è accaduto nella cucina dove non si è lavorato per utilizzare meno sale o meno grassi, ma per esaltare l’ingrediente. In pasticceria questa deve essere la strada, anche se lavorare per sottrazione non è semplice e non soddisfa l’ego personale del professionista».
Oggi valgono di più le tecniche o la contaminazione?
«Vanno di pari passo. Social e comunicazione globale fanno sì che le nuove tecniche si diffondano velocemente. Oggi la ricerca in pasticceria va verso la realizzazione di strutture sempre più leggere e l’utilizzo di macchinari di estrazione di aromi. Ci sono distillatori che ci permettono di estrarre oli essenziale dagli ingredienti da utilizzare all’interno dei nostri dolci. L’azoto permette di creare delle strutture completamente diverse grazie al suo bassissimo punto di surgelamento. Contaminazione, per me, significa cercare di capire cosa succede intorno al mondo sia a livello di filosofia sia a livello di tecnica. In questo periodo sto utilizzando un biscotto giapponese cotto a vapore fatto con una pasta choux alleggerita da una meringa; la consistenza è leggerissima e unito a una crema più compatta permette di sviluppare un concetto opposto a quello cui siamo abituati».
La pasticceria vive di geometrie e di gusto, come si combinano tra di loro?
«Non può esserci gusto senza geometrie. La costruzione di un dolce deve essere architettonica, fatta in maniera intelligente e precisa perché il risultato perfetto è un insieme di proporzioni, strutture e consistenze. Il bilanciamento dei gusti, per esempio, è diverso a seconda che si stia preparando una torta tonda da cui si realizzano fette triangolari rispetto a quello di una torta rettangolare e cambia ancora nella ristorazione a seconda che la composizione sia alla francese, quindi con strutture in sovrapposizione, o alla spagnola con le diverse strutture che occupano porzioni di piatto diverse».
Quindi serve un diverso approccio tra pasticceria da banco e da ristorazione?
«Entrambe richiedono le stesse tecniche, le stesse conoscenze chimico-fisiche e una conoscenza perfetta del nostro apparato sensoriale per poter giocare sugli abbinamenti. La grande differenza tra la pasticceria da banco e quella da ristorazione sta nella diversa durata delle preparazioni. Le prime sono fatta per durare, le seconde per morire nel giro di pochissimo tempo così da permettere di non aver limiti nella presentazione. Nella pasticceria da banco, invece, la durata e la trasportabilità per la condivisione nelle case impongono regole completamente diverse di presentazione. Un’altra differenza si riscontra nei dolci dell’alta ristorazione che rappresentano la fine di un percorso filosofico di scoperta di uno chef».
Tra le scoperte di uno chef c’è anche quelle degli ingredienti che oggi sono sempre più spesso locali e di stagione. È lo stesso in pasticceria?
«L’ingrediente è la matrice che fa funzionare la pasticceria, il seme che permette di sviluppare e di sfruttare la parte creativa. Noi pasticceri dobbiamo spingere sempre più sull’utilizzo di ingredienti di stagione e di grande qualità, giunti alla perfetta maturazione. Questo è un punto sul quale vorrei sensibilizzare i colleghi perché un frutto maturo non ha bisogno di altro. Ai clienti, invece, dico che come si rimandano indietro i piatti salati che non vanno bene, lo stesso si può fare con un dessert».
Scegliere, però, gli ingredienti al massimo stato di maturazione implica un rapporto diretto e di fiducia con il produttore…
«Riuscire a instaurare rapporti a media lunga scadenza con i produttori-fornitori è la grande differenza che passa tra i diversi pasticceri. A fare la differenza è il rapporto umano con chi fornisce la materia prima, io conosco personalmente chi produce l’olio e i pistacchi per i miei dolci».
Qual è lo stato dell’arte della pasticceria oltre i confini italiani?
«All’estero la pasticceria ha un valore molto più importante perché la complessità del pasto è molto minore e il dessert ne è il suo completamento. Al contrario i pasti italiani comprendono un piatto di pasta o riso che rappresenta un valore gastronomico e una fonte di chilocalorie. Detto questo, oltreconfine la pasticceria si sta concentrando su design, ricerca della perfezione del bilanciamento e della precisione del dolce perché oggi non si può più essere approssimativi. Anche la vendita di pasticceria da banco è diversa, lo dico da professionista che passa il 70% del suo tempo all’estero: in metropolitana a Parigi la metà delle persone ha un sacchetto diverso di prodotti di pasticceria, a Tokio ancora di più».
Quindi l’Italia è indietro?
«No, è solo diversa».
Mariella Caruso