Questo è il primo approfondimento dedicato all’interpretazione della cucina italiana da parte degli Ambasciatori del Gusto di origine straniera.

Cosa significa per un giapponese fare cucina italiana? Quando vent’anni fa Kotaro Noda arrivò in Italia, una delle tappe del suo giro alla scoperta dei sapori del continente europeo, fu fulminato dal sapore del “risotto alla milanese”. «Non avevo mai assaggiato il riso lavorato in quel modo, è stato un colpo di fulmine per consistenza e sapore. È stato quel piatto a farmi decidere di approfondire la cucina italiana», spiega l’ambasciatore del Gusto, chef del Bistrot 64 di Roma.

Noda, laureato in marketing, aveva già deciso di fare il cuoco e dopo quel viaggio andò a bussare alla porta del ristorante Marchesi a Kobe dove conobbe Enrico Crippa. «Ma per capire cosa fosse la vera cucina italiana dovevo venire in Italia», racconta il 42 originario dell’isola di Shikoku. Detto, fatto. Oggi Noda, dopo aver imparato tutto ciò che poteva della cucina italiana a Viterbo, ha combinato quanto appreso delle preparazioni tipiche dello Stivale con il suo essere giapponese e propone una cucina tutta sua, che non è fusion ma “contaminata”.

«Io non ho mai studiato la cucina giapponese. Quando sono arrivato in Italia mi sono concentrato a capire cosa fosse la vera cucina italiana che per un giapponese è lontana per sapori, ma oggi posso dire vicina per quanto riguarda la freschezza delle materie prime e i metodi di cottura. Inoltre Giappone e Italia sono i Paesi con la popolazione più longeva e questo non può non dipendere dall’alimentazione», spiega Noda che, strada facendo, ha cambiato i suoi capisaldi. «Sempre più spesso mi veniva chiesto dai miei clienti di mettere qualcosa di giapponese nei miei piatti – racconta – e oggi la mia è una cucina personale di base italiana perché ognuno deve conoscere per poi esprimersi personalmente».

C’è l’Italia, infatti, nell’universo gustativo di Kotaro Noda. «Non ho problemi a dire che il mio piatto è l’Amatriciana, che appena metto piede a Fiumicino mi sento a casa e che quando torno in Giappone non ho l’urgenza di ritrovare sapori», continua. «Del resto anche in Giappone la cucina italiana è una di quelle molto replicate tanto che si trova quasi dovunque ogni tipo di piatto, anche quelli regionali che in Italia sono molto locali come il pane con la milza», sottolinea Noda che, però, fa un distinguo. «Quello che manca ai giapponesi è la filosofia del godere del cibo che fa dell’Italia un luogo unico. Di questo, oltre che della cucina italiana, vorrei farmi ambasciatore a Tokio dove – rivela in conclusione l’Ambasciatore del Gusto – sto lavorando a un mio nuovo progetto».

Mariella Caruso