È stato definito Italian Sounding ed è qualcosa di ben conosciuto dalle aziende agroalimentari italiane. «Si tratta di quel particolare fenomeno diffuso nel mondo, in particolar modo negli Stati Uniti, che consiste nel dare un’immagine italiana a un prodotto agroalimentare di qualità che in realtà non è italiano», spiega Elio De Tullio, avvocato nel settore della proprietà industriale fondatore dello Studio De Tullio & Partners, studio legale internazionale specializzato in materia di proprietà intellettuale, cui abbiamo chiesto di rispondere a qualche domanda su questa “pratica” che danneggia i prodotti italiani.

In termini pratici come si traduce la pratica dell’“Italian Sounding”?

«In particolare si realizza tramite l’utilizzo sulle confezioni di beni prodotti all’estero, di termini e parole italiane, di immagini come, per esempio, la Torre di Pisa o il Colosseo, la sagoma dell’Italia o il Tricolore, di espressioni e richiami espliciti alle origini italiane di un prodotto ovvero di chiari riferimenti geografici come possono essere Tuscan, Sicilian, Apulian, Napoli, Palermo e via dicendo. In tal modo, i consumatori esteri vengono indotti in errore circa l’origine di quei prodotti».

È un fenomeno che abbraccia anche i prodotti protetti da Indicazioni Geografiche e Denominazioni d’Origine?

«Sì. E anche in questo caso l’imitazione del prodotto protetto viene effettuata tramite un richiamo all’origine italiana utilizzando parole, immagini, colori o espressioni fuorvianti. Tra questi secondo la tradizione…, Italian style, secondo la ricetta tipica…, Italian food o autentico Italiano e simili. Questi comportamenti sono spesso considerati leciti nei Paesi esteri interessati dal fenomeno, (come gli Stati Uniti) e, pertanto, sono difficilmente perseguibili e sanzionabili legalmente».

Giuridicamente siamo davanti a un fenomeno di contraffazione?

«Sotto questo aspetto l’Italian Sounding si differenzia dalla vera e propria contraffazione, che riguarda la violazione e l’illecita riproduzione/utilizzazione di marchi, brevetti, copyright, loghi, design e indicazioni geografiche (ove queste siano riconosciute e tutelate) ed è un fenomeno illecito e legalmente perseguibile a livello globale. In tema di Italian Sounding è necessario che i Consorzi di tutela svolgano un ruolo attivo nel monitorare il mercato e le banche dati, nell’investigare situazioni di potenziale interferenza e nel reagire a tali situazioni, chiedendo la cessazione dei comportamenti lesivi, se giuridicamente rilevanti, e il risarcimento dei danni».

Si legge spesso di sequestri di prodotti sequestrati nell’ambito di esposizioni fieristiche. Quando, e dove, è possibile agire così a tutela dei prodotti italiani?

«Durante le fiere è importante monitorare gli stand dei competitor per verificare la presenza di eventuali contraffazioni. In alcuni casi, infatti, dove il regolamento della fiera lo preveda, ci si può rivolgere agli addetti a specifici servizi in materia che spesso si avvalgono di consulenti e avvocati specializzati».

Come funzionano questi servizi?

«Sempre più spesso, gli organizzatori delle fiere predispongono servizi di tutela della proprietà intellettuale, che comprendono anche un primo intervento per far cessare i comportamenti lesivi già nel corso della manifestazione allegando le prove della contraffazione e della titolarità dei diritti violati, per ottenere la rimozione dei prodotti contraffatti dalla Fiera. Questi servizi offrono anche la possibilità di raccogliere prove certe delle violazioni, da utilizzare in possibili future azioni legali, e di intervenire in casi di sospetta contraffazione tramite richiesta di provvedimenti di sequestro, inibitoria e rimozione dei prodotti contraffatti. In ogni caso, sarà sempre possibile ricorrere all’autorità giudiziaria (civile o penale a seconda dai casi) per ottenere misure cautelari e ingiunzioni, ovvero all’autorità doganale per fermare l’importazione delle merci sospette».

Quali sono i prodotti più a rischio e quali sono i Paesi in cui è più difficile proteggere i prodotti italiani?

«Formaggi, olio di oliva, pasta, prodotti ortofrutticoli, salumi, vini, sughi e salse.

I Paesi in cui il fenomeno è maggiormente sviluppato, invece, sono Stati Uniti e Canada, Paesi dell’America Latina, Russia, Paesi Balcanici, Paesi del Sud Est Asiatico (Corea, Cina, Malesia, Indonesia), ma anche alcuni Paesi della UE, ad esempio, Germania, Romania, Paesi Bassi, Spagna, Ungheria. Le difficoltà maggiori, però, si incontrano negli Stati Uniti dove le Indicazioni Geografiche non godono della tutela sui generis prevista dalle normative europee, ma soltanto della tutela prevista dalle normative in materia di marchi; pertanto l’utilizzo delle indicazioni fuorvianti Italian Sounding sopra menzionate, in associazione a prodotti realizzati negli USA, è generalmente consentito».

Giuridicamente qual è lo stato dell’arte attuale?

«Attualmente, la protezione dei prodotti italiani di qualità nei Paesi esteri è ostacolata dalle normative nazionali. Inoltre, molti dei Paesi interessati dal fenomeno (tra cui gli USA) non hanno aderito all’Accordo di Lisbona del 1958 (e successiva revisione con l’Atto di Ginevra del 2015) e al relativo sistema internazionale di protezione delle Indicazioni Geografiche, che concede una protezione automatica nei Paesi aderenti tramite l’iscrizione e la registrazione delle stesse nel registro internazionale tenuto presso il WIPO (World Intellectual Property Organization)».

Perché non è possibile proteggere adeguatamente i nostri prodotti all’estero?

«Lo scenario attuale di protezione delle Indicazioni Geografiche non offre una tutela effettiva ed efficace, armonizzata a livello internazionale, in particolare in quei Paesi in cui le IG sono tutelate tramite il sistema dei marchi. Negli USA e nei paesi di common law, infatti, per tutelare i prodotti agroalimentari protetti da IG si deve ricorrere al sistema dei trademarks (tramite il deposito di individual, certification e collective marks). Tale sistema è caratterizzato dal principio del “first to use” e molti termini che compongono le denominazioni protette da IG in Europa sono considerati in tali Paesi nomi comuni, generici e descrittivi, del prodotto cui si riferiscono e, di conseguenza, non registrabili. Inoltre, i marchi sono soggetti a rinnovo ogni 10 anni e ad altri adempimenti formali, a cui non sono sottoposte le Indicazioni Geografiche».

Quindi qual è attualmente il modo migliore per tutelare questi prodotti?

«Nell’attesa di arrivare a tale armonizzazione, tuttavia, i titolari dei diritti possono sorvegliare il mercato e reagire utilizzando gli strumenti attualmente esistenti in ciascun Paese che consentono, in ogni caso, e con i limiti sopra descritti, di delimitare e controllare il fenomeno». 

Mariella Caruso