Dal prossimo 16 febbraio scegliere il riso sarà più facile per i consumatori italiani. Da quella data, infatti, per il riso venduto in Italia entrerà in vigore, in via sperimentale, l’obbligo di indicazione dell’origine in etichettatura voluto dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Dovrà essere indicato specificatamente sarà se il Paese di coltivazione, quello di lavorazione e di confezionamento sono Italia, Paesi dell’Unione Europea o extra Unione Europea.
Un aiuto valido anche per i ristoratori che, però, in molti casi hanno già dei criteri di scelta molto rigidi per la scelta del riso da utilizzare per i propri piatti.
QUALITÀ – «La qualità si fa nel campo, per questo io vado personalmente a conoscere ogni fornitore. L’ho fatto anche per il mio fornitore di riso», sottolinea l’Ambasciatore del Gusto Cesare Battisti, chef a Milano dove il piatto simbolo è il risotto alla milanese con ossobuco. «In Italia abbiamo una vastità di risi autoctoni, la nostra biodiversità in fatto di riso è pazzesca. Anche i piatti a base di riso sono tanti e per prepararli, da Nord a Sud, si utilizzano varietà diverse: dal vialone nano per il riso alla Pilota del Mantovano che deve rimanere sgranato al Carnaroli che, personalmente, utilizzo per il risotto alla Milanese perché ha una percentuale di amido superiore al 20% e mantiene la cottura». Ovviamente la visione dello chef è diversa da quella del consumatore medio. «La gente non fa caso ai chicchi spezzati. La loro assenza, per esempio, è indice di qualità. Noi cuochi abbiamo una responsabilità sociale nei confronti dell’agroalimentare italiano di qualità, dobbiamo informare e rendere consapevoli i nostri clienti del valore dei prodotti, riso compreso», continua Battisti. Riso che, spiega, «è possibile riconoscere anche dall’aroma: se annusando un pacchetto appena aperto si sprigiona un odore sgradevole è un brutto segnale: è possibile che il riso abbia residui di paraffine e colle dell’asciugatura a gasolio; se prendendo in mano un pugno di riso la mano rimane bianca vuol dire che c’è presenza di farina di riso che, di solito, viene utilizzata per far fronte alle microfratture dovuto a una centrifugatura troppo veloce».
CULTURA – «È la qualità e la diversità che distingue il riso italiano dagli altri», affermano senza mezzi termini anche gli Ambasciatori del Gusto Manuel e Christian Costardi, vercellesi che hanno fatto del risotto al pomodoro uno dei loro piatti simbolo. «Purtroppo nel mondo dei risicoltori non c’è stato ancora quel passaggio dall’essere agricoltori a diventare imprenditori. Dovrebbero essere loro a spiegare cosa mettono nel pacchetto, spiegare le caratteristiche del riso, perché uno è diverso da un altro», continuano i Costardi Bros. Il consiglio dei Costardi per capire la qualità del riso è «cuocerne un pugno senza sale e assaggiarlo. Per noi – spiegano – è un test fondamentale che facciamo una volta al mese per scegliere il nostro riso che, è bene ricordare, è vivo e non si lavora con il cronometro: il riso di un sacchetto aperto è diverso se si utilizza l’indomani». Poi i Costardi lanciano un appello. «In Italia deve crescere la cultura del riso. Il risotto, al pari di pasta e pizza, potrebbe essere un piatto rappresentativo del nostro Paese. In questo, però, serve un altro atteggiamento da parte dei ristoratori che dovrebbero cominciare a togliere il “minimo per due” dai loro risotti in carta.
Mariella Caruso