È una stagione d’oro quella che sta vivendo il panettone. “Adottato” da maestri pasticcieri, pizzaioli, dell’arte bianca e in ultimo dagli chef più rinomati, il dolce tradizionale milanese delle festività natalizie, trasformatosi negli anni del “miracolo italiano” con la spinta della pubblicità nel dolce nazionale del Natale, oggi è protagonista di un nuovo Rinascimento che nello Stivale non conosce alcun confine.
Ad aiutare questa rifioritura del panettone artigianale – che secondo il decreto del 22 luglio 2005 del Ministero delle attività produttive può essere fatto soltanto con acqua, farina, zucchero, burro, uova, latte, scorzette di arancio e cedro candite, uvetta sultanina, lievito naturale, sale – è stata anche la consapevolezza dei consumatori «che ormai sono in grado di riconoscere e apprezzare la qualità degli ingredienti e la lavorazione artigianale che nulla ha a che fare con una certa produzione industriale», ammettono gli Ambasciatori del Gusto Francesco Arena, Renato Bosco, Chicco Cerea, Giancarlo Perbellini e Vincenzo Tiri.
«Per fare un buon panettone occorre una maestria senza fine perché il lievito madre è capriccioso; tempo e pazienza perché occorrono almeno tre giorni e, in ultimo, non si può prescindere dai consumatori ai quali, noi artigiani, vendiamo direttamente i nostri prodotti», attacca l’Ambasciatore del Gusto Francesco Arena che il suo panettone artigianale lo inforna a Messina nel laboratorio del panificio Masino Arena, di famiglia da tre generazioni, utilizzando una base di pasta acida regalatami anni fa da Giorgio Giorilli, «che – sottolinea Arena – è la base per tutti i miei lievitati». Tra i panettoni di Arena («Burro tecnico, uova da allevamento a terra, uvetta zibibbo di Pantelleria tra gli ingredienti») da quest’anno ce n’è uno dedicato a Salina con capperi canditi e copertura di cioccolato bianco, a ricordare la risacca del mare, finita con granella di pistacchio, mandorla di Avola e sette mandorle dorate a simboleggiare le sette isole Eolie.
«Per arrivare a questa stagione bisogna dare merito a quei Maestri come Iginio Massari, Rolando Morandin, Giorgio Giorilli, Achille Zoia che qualche decennio fa si sono impegnati a divulgare ad altri protagonisti del mondo della pasticceria quella tradizione che si era un po’ dimenticata o che veniva replicata con ingredienti industriali», ammette l’Ambasciatore del Gusto Renato Bosco, precursore tra i Maestro pizzaioli a dedicarsi al dolce lievitato. «La mia storia nel mondo del panettone è cominciata per caso: vent’anni fa nessuno organizzava corsi sul lievito madre in ambito pizzeria, così per conoscere i segreti del lievito madre mi iscrissi a un corso di Morandin – ricorda – ritrovandomi catapultato nel mondo dei lievitati della tradizione che, così, oggi, sta vivendo questo momento felice». Attualmente a San Martino Buon Albergo, nel Veronese, Renato Bosco inforna 4000 panettoni, compreso quello «con le uvette macerate nello Champagne che mi sta dando tante soddisfazioni», e circa 2000 pandori utilizzando burro tecnico, canditi veneti e uvetta australiana. «Fino a tre anni fa non facevo il pandoro perché era stato un po’ dimenticato – rivela -. Poi, complice la tradizione di Verona ho cominciato una ricerca personale dedicandomi a renderlo più digeribile: nel giro di un anno ne ho triplicato la produzione e introdotto il “pandoro zero burro” con olio di riso».
«Il panettone non è mai stato così buono come adesso», ammette l’Ambasciatore del Gusto Enrico Cerea. «La qualità della lavorazione dei grandi artigiani che si sono messi in competizione con l’industria è alla base della rinascita e della rivalutazione del panettone artigianale, emblema della pasticceria lievitata che è il simbolo dell’Italia», continua Cerea che nell’azienda di famiglia Da Vittorio (ristorante, dimora, pasticceria) produce il panettone artigianale ormai da vent’anni affrontando un aumento di produzione anno dopo anno. «Già da quattro anni nel periodo natalizio affittiamo un capannone e, nonostante tutto, non riusciamo a soddisfare tutte le richieste per un prodotto per il quale utilizziamo burro d’alpeggio, buona panna, uvetta di Corinto macerata in vini profumati».
«Il panettone è il dolce italiano con un incredibile ventaglio di gusti, che si fa dal Nord al Sud e la sua qualità artigianale è cresciuta insieme alla riscoperta del lievito madre. Una rinascita che il pandoro non ha ancora avuto, perché è più difficile da fare ed è oscurato dalla moda del panettore», attacca l’Ambasciatore del Gusto Giancarlo Perbellini del ristorante Casa Perbellini di Verona. «Nell’impasto del pandoro c’è il 60% di burro, la sua lavorazione è complicata e, a differenza del panettone, è monogusto: burro e vaniglia – continua -. Noi lo facciamo perché la mia famiglia lo fa da sempre seguendo la tradizione del Nadalin, dolce del Natale di Verona». Secondo Perbellini per far “partire” la riscossa del pandoro «serve una scintilla che gli artigiani stanno cominciando ad accendere».
Dalla piccola Acerenza, nel Potentino, arriva quello che viene considerato da guide e concorsi il panettone più buono d’Italia. Lo fa l’Ambasciatore del Gusto Vincenzo Tiri, la cui storia d’amore col panettone nasce da un sogno. «Quando ero piccolo, mia zia arrivava dal Piemonte per le feste natalizie con un panettone piemontese. Da quel momento ho sognato di poterlo fare», racconta Tiri che ha perfezionato una ricetta con tripla lievitazione e 72 ore di ciclo di lavorazione. «Nel nostro panettone – dice – c’è un mix di burro, belga e francese da affioramento di panna, i canditi sono fatti da noi a cielo aperto con arancia staccia lucana e uvetta australiana. Con gli anni, poi, c’è stato un incremento notevole di richieste del nostro panettone caffè e cioccolato bianco con infusione a freddo di chicchi di caffè e cioccolato bianco».
Percorso verso l’internazionalizzazione. Paradossalmente non è l’Italia il maggiore produttore mondiale di panettone, ma il Brasile che serve tutto il mercato dell’America Latina. «Il panettone, però, potrebbe diventare il simbolo dell’Italia del mondo e anche in quei Paesi, grazie alla qualità del nostro prodotto, noi italiani potremmo dire la nostra», ammette Chicco Cerea. «Dovremmo riuscire a promuovere un prodotto come il panettone perché all’estero, dagli Stati Uniti alla Cina, i lievitati sono, come la pizza, un simbolo dell’Italia. Questo non vale solo per il panettone, ma anche per pandoro, veneziana e colomba». D’accordo anche gli altri Ambasciatori del Gusto. «Oggi si sta cominciando a uscire dai nostri laboratori per esportare il proprio panettone. Non siamo, però, ancora così forti da unirci e creare la necessaria sinergia tra artigiani per dare la spinta giusta a che il panettone artigianale abbia la giusta considerazione», dice Renato Bosco. «Portare i nostri panettoni all’estero implicherebbe un, pur minimo, processo di conservazione che porterebbe comunque a un cambiamento e io sono un po’ scettico sulle modifiche di un prodotto artigianale come il panettone», osserva Francesco Arena. «C’è una grande richiesta di panettone dall’estero, è il dolce italiano per eccellenza di cui non si è mai persa la tradizione – aggiunge Tiri -. Di sicuro sarebbe necessaria un po’ di comunicazione istituzionale».
Fuori dal coro. Nella pasticceria di Corrado Assenza, Maestro pasticciere siciliano e artista della canditura, il panettone non è di casa. «Non fa parte della tradizione siciliana – sottolinea Assenza -. Il mio dolce natalizio è la “Brioche di Natale”, una brioche da granita arricchita da tuorli, latte, burro con lunga lievitazione, i nostri canditi e tanta mandorla per la crosta». «Oggi ci sono una serie di interessi economici che convergono sul panettone che, negli anni 60 grazie alla pubblicità, divenne il dolce natalizio per eccellenza a discapito del torrone che lo era stato fino a quel momento», fa osservare Assenza. «Vent’anni fa con l’interesse degli artigiani che hanno cominciato a cimentarsi con il panettone, dolce che si vende con ricarichi interessanti, è cominciato una nuova stagione di un dolce che in nome della sicurezza alimentare deve durare almeno tre mesi», continua Assenza che fornisce canditi di qualità per i panettoni degli altri. «Il panettone non potrà mai diventare il simbolo della pasticceria italiana nel mondo come il macaron lo è di quella francese – obietta Assenza -. Non si possono fare milioni di pezzi di panettone perché ci vogliono spazi, laboratori, strutture e c’è già chi lo fa in grandissime quantità in Brasile. Non voglio smontare l’entuasiasmo, ma ci serve “intelligenza economica” per evitare di ripercorrere la parabola della “pizza” di cui ha beneficiato il mondo, ma non Napoli. Forse il torrone è l’unico dolce italiano natalizio, peccato che non abbia la palatabilità gradita dall’industria che indirizza il comportamento del pubblico che tende al soffice».
Mariella Caruso