Scrivono sui giornali  che la disoccupazione in Italia è la terza più alta d’Europa, ma com’è possibile che da più di un anno ormai cerchiamo invano personale per la nostra pasticceria?

Chi come me è cresciuto nell’era pre-social condivide un certo tipo di formazione fatta di dedizione, sacrificio e tanta umiltà.

La scelta del “fare impresa” per me è avvenuta dopo anni di duro lavoro, porte in faccia e tanta tanta gavetta, ed oggi, che ho delle attività avviate nel settore del “food”, ancora di più comprendo la complessità di questo mondo e l’importanza di avere delle solide basi per poter affrontare le sfide di ogni giorno. Ma rifarei questa scelta ogni giorno perché mai nella vita mi sono sentito più gratificato ed entusiasta di quello che sono e faccio ogni giorno.

Eppure la realtà lavorativa con cui mi confronto in questo settore appare molto lontana dalla mia esperienza; oggi la mentalità del “voglio tutto e subito” e del meglio “apparire che essere” dettata  dai social fa si che moltissimi giovani snobbino il lavoro (forse per attendere qualche grande occasione o fortuna?) e questo rende la ricerca del personale uno degli aspetti più difficili nell’ambito del business “food”.

Da più di un anno proviamo ad assumere personale per la nostra pasticceria e caffetteria in centro a Milano; cerchiamo delle figure professionali fra i 20 e i 35 anni che si occupino del servizio al banco. Offerta di contratto a tempo indeterminato (ormai non più un obiettivo fondamentale per molti!), con elevate possibilità di crescita nel breve termine visti i piani di sviluppo aziendali. Requisiti minimi “sulla carta”: esperienza lavorativa di almeno 6 mesi in ruoli analoghi e conoscenza dell’inglese. Requisiti “soft”: interesse per il proprio lavoro, entusiasmo, spirito di squadra, voglia di crescere. Risultato? Non troviamo in pratica nessuno.

Si presentano ai colloqui giovani sui 20-25 anni con scarsa motivazione, subito pronti a chiedere piuttosto che apprezzare l’opportunità che viene offerta.

La difficoltà della ricerca del personale per questo tipo di servizio è comune a molti, tanto che a ogni occasione di confronto sul tema tutti riscontriamo le medesime problematiche: non ci sono giovani che hanno entusiasmo e voglia di lavorare e il turn over risulta di conseguenza troppo alto. Questo rende molto pesante  anche il tema della formazione poiché non hai neanche il tempo di terminare il periodo di apprendimento che ti lasciano di punto in bianco, a volte senza neanche avvisare, incuranti degli obblighi contrattuali. Noi imprenditori non siamo tutelati.

C’è dunque qualcosa che non va: i canali dove cercare personale per questo tipo di attività sono troppo dispersi e dispersibili? Non conosciamo i canali giusti dove proporre offerte di lavoro? O forse qualcuno ci deve spiegare cosa si intende per disoccupazione?

Sicuramente dovremmo fare il massimo possibile per diffondere una mentalità diversa che possa far riemergere quell’entusiasmo e motivazione che sembrano sopiti. Per troppo tempo nelle aziende si è lasciata da parte la valutazione sulla condotta del personale guardando solo alle competenze tecniche; ma questo è molto limitante perché il successo di un’azienda è fatto dalle persone che ci lavorano e le persone per lavorare insieme non hanno bisogno di competenze tecniche ma soprattutto di specifici valori quali: rispetto per il lavoro, rispetto per gli altri, solidarietà, entusiasmo, spirito di sacrificio, tutti punti che diventano fondamentali per creare una squadra forte e solida che duri nel tempo.

Come nobilitare questa tipologia di lavoro e trasmettere ai giovani che è possibile imparare e crescere tanto in questo settore?

All’interno della “food community” dovremmo iniziare a sponsorizzare e condividere dei modelli di comportamento positivi e premiarli (sotto qualsiasi forma economica e non); ad esempio sarebbe molto utile avere un motore di ricerca specializzato sul settore “pasticceria-caffetterie” in cui, oltre ai curricula, i candidati potrebbero inserire una valutazione fatta dal datore di lavoro, presso cui hanno lavorato, relativamente alle proprie competenze “soft”.  Per far questo bisognerebbe istituzionalizzare un sistema di valori condiviso con l’obiettivo di trasmettere ai giovani in cerca di lavoro che il lavorare “in un certo modo” non passa inosservato.

Non penso sia un’utopia. Anzi credo fortemente che i giovani abbiano bisogno di nuove motivazioni, sfide da affrontare e obiettivi da raggiungere sempre più in linea con i tempi. È finito il tempo del dipendente “schiavo” e del datore di lavoro “padrone”, e chi fa impresa oggi deve averlo molto bene in testa altrimenti continueremo ad avere sempre e solo le stesse difficoltà.

Vittorio Borgia