AMBASCIATORE

Classe 1989: e già questo vorrà pur dire qualcosa. Chef donna dell’anno per la Guida Identità Golose 2017: e anche tale premio la iscrive di diritto nell’Olimpo dei predestinati. A cosa? Diciamo così: a diventare parte della nuova frontiera nell’Italia gastronomica, quella battuta dalla generazione che sta sgomitando appena dietro i grandi protagonisti odierni. Sono coloro che si candidano a riceverne la ricca e golosa eredità.

Il bello è che Martina Caruso, perché di lei parliamo, fa tutto questo da una base che dire periferica e marginale è persin poco: isola di Salina, un eden del bello e del buono che però va pur sempre raggiunto, partendo da Milazzo, il che è già poco banale. Il Signum, cui la famiglia Caruso dedica dedizione e passione tali da averne fatto una meta straordinaria nella Penisola della migliore hôtellerie, è un piccolo gioiello: un incanto che è anche di sapori e atmosfera, grazie al ristorante, fiore all’occhiello della casa, cui la giovane Martina – classe 1989 – dedica garbo e sapienza, spalleggiata dal fratello Luca gran timoniere della sala.

Lei spiega: «Solo verso i 14 anni ho compreso che cucinare poteva diventare un lavoro. Mia madre però non voleva che vivessi da sola a Messina, dove c’era l’istituto alberghiero: mi ha proposto di andare in collegio, ma abituata com’ero alla libertà dell’isola come facevo ad accettare? Ho aspettato i 16 anni e sono andata a studiare a Cefalù. Ho iniziato a fare gli inverni lì e le estati a Roma, dove ho lavorato anche da Pipero al Rex e Antonello Colonna. Poi mi sono spostata a Londra per un periodo». Ma l’esperienza più formativa è stata da Gennaro Esposito: «Anche se lui è campano e io siciliana, è lì che ho ritrovato i sapori della tradizione, ossia quelli di casa». Gusto mediterraneo.