AMBASCIATORE

Classe 1967, “Alciati di mezzo” tra i fratelli Andrea più giovane e Pietro più vecchio, Ugo è praticamente nato in un ristorante… e che ristorante! Sette anni prima che lui emettesse i primi vagiti si erano aperti i battenti del Guido, insegna storica della nostra haute cuisine. Ugo Alciati porta così, e splendidamente, il peso di due eredità ponderose, capaci di schiacciare chi non fosse ben strutturato: da una parte la storia di Guido e Lidia, genitori suoi ma anche dell’alta cucina italiana; dall’altra la forza del territorio, la Langa che tanto dà all’enogastronomia italiana, e dunque mondiale; un insieme inebriante di eccellenze e tradizioni così onnicomprensive, da lasciare spesso poco spazio all’estro dello chef che vi si accosta. Figurarsi a chi ne è figlio quasi per antonomasia.

Lui se lo è ben conquistato, questo spazio: sarà perché è entrato in cucina a 15 anni per non uscirvi mai più: esordio da pasticciere quando portava ancora i calzoncini corti, «la prima meringa a 9 anni», poi sempre più chef a tutto tondo, sul pezzo, dando così ragione alla profezia del padre, che riguardava lui ma anche i fratelli: «I miei bambini diventeranno professionisti» della ristorazione.

La sua carriera è tutta sulla scia dell’imprinting iniziale: prima, appunto, il Guido a Costigliole, poi nel 2003 un primo trasferimento a Pollenzo, nell’Agenzia che ospita l’Università di Scienze gastronomiche; infine, sempre con Piero – che cura sala e cantina – l’approdo, anno 2013, alla Villa Reale della Tenuta Fontanafredda di Serralunga d’Alba (Cuneo), dov’è tuttora.

Qui perpetua la leggenda di piatti mitici – i plin, gli agnolotti di Lidia, le tagliatelle “ai 30 rossi”… – ma non si ferma certo a una stanca riproposizione del passato: la bontà quella di sempre, la tecnica e il piglio sono invece assolutamente contemporanei.