AMBASCIATORE

È il maggiore pensatore culinario contemporaneo in Sicilia, e non solo in Sicilia. Persegue da sempre battaglie che sono gastronomiche ma ancor prima culturali: il superamento delle barriere tra dolce e salato, teorizzato ben prima che Ferran Adrià lo inserisse nel suo decalogo; la riscoperta, anche attraverso questa ritrovata libertà gustativa, dell’identità culturale materiale che accumuna la cucina mediterranea, condivisa tra le sponde bagnate dal Mare Nostrum; il concetto stesso dello chef come alfiere del territorio, in grado di creare quella rete di produttori che possa preservare la biodiversità…
Un precursore, un pasticcere-guru capace di pensare (e dunque far pensare) il dessert – e non solo il dessert, appunto – con occhi diversi, liberandolo dalle sovrastrutture e legandolo alle radici ma senza miopia, anzi con uno sguardo da aquila; evitando cioè di trincerarsi in confini angusti, poiché «al km 0 preferisco quello buono».
Dice di sé: «Sono nato a Noto ai primissimi bagliori degli anni ’60 del secolo scorso. Ho avuto la fortuna di avere due genitori che mi hanno insegnato a imparare, tanti maestri che hanno lasciato loro incrostazioni in me, una moglie dolce e capace che ha riempito la mia vita col sorriso e l’intelligenza di due figli».
Famiglia di pasticcieri, vi ha appreso l’arte. La sua insegna, il Caffè Sicilia, fondata nel 1982 come fabbrica di torroni e marmellate e in seguito trasformata in caffetteria, è meta di pellegrinaggi gourmand. Lì prova a raccontare «la cultura sotterranea del popolo di Sicilia che da millenni esprime sapienza dedicandosi a queste arti materiali. Apprezzo il sale quanto lo zucchero; forse, più di entrambi, il miele. Cerco il sale negli zuccheri, lo zucchero tra i cristalli di sale».
È anche molto vicino al mondo della pizza: «In questa comunità c’è dinamismo e voglia di innovare. È un cosmo oggi più vivace e interessante di quello della pasticceria».