Lo scorso gennaio, dopo le gelate che avevano distrutto gli ortaggi del suo orto e quelli degli agricoltori da cui si rifornisce, Pietro Zito ha chiuso la cucina di Antichi Sapori che è regolata, come spiega presentandola nel sito, «dall’amore per le tradizioni, il rispetto per la materia prima, la stagionalità e l’eccellenza degli ingredienti» e in cui gli ortaggi occupano una parte essenziale. È più che naturale, quindi, interpellare lo chef pugliese di Montegrosso di Andria, Ambasciatore del Gusto, quando gli argomenti sul tavolo sono l’importanza della stagionalità degli ingredienti e il legame di questi con il territorio in cui vengono trasformati nella costruzione di un menù, nella scelta del gusto per un gelato e nella scelta del condimento per una pizza gourmet.

«Per un Ambasciatore del Gusto legato al territorio come lo sono io, è fondamentale conoscere la stagionalità degli ingredienti che cambia a seconda dei territori: un Ambasciatore che vive e lavora a Trento ha a che fare con una stagionalità diversa rispetto a un Ambasciatore pugliese o siciliano», attacca Zito. «Questo implica – continua l’uomo di cucina che non ama essere chiamato chef – una totale sintonia con il territorio e con gli agricoltori dello stesso, esserne parte integrante perché emozionare con il gusto della stagionalità è facile». «Siamo noi – fa osservare – che dobbiamo introdurre il cliente a un percorso. Per quanto mi riguarda agli “Antichi sapori” ho una bella lavagnetta in cui ogni giorno scrivo: “Oggi nell’orto c’è…” con il menu che, di volta in volta, può essere mensile, settimanale e giornaliero».

Questo tipo di approccio, quindi, presuppone un adeguamento del menù via via che i prodotti stagionali cambiano e una maggiore consapevolezza del cliente ormai abituato a mettere in tavola le fragole a Natale e la zucca a Ferragosto. «Per questo oltre al menu e alla carta dei vini, ogni Ambasciatore potrebbe affiancare una carta dei fornitori con nome e cognome e prodotto fornito – sottolinea -. Come ho avuto modo di affermare anche in occasione della presentazione della “Carta di Milano” questo permetterebbe di creare un’alleanza con i nostri agricoltori».

Realizzare un piatto davvero a chilometro zero, però, significa «andare fuori dagli schemi più evoluti della cucina, integrare una cucina molto più semplice, immediata e giornaliera con il cuoco che deve inventarsi un piatto e valorizzarlo. Oggi esiste un pensiero molto più tecnico e rigido sulla cucina e ci s’industria a trovare questo o quell’ingrediente per realizzare un piatto del menu, invece si potrebbe girare nei mercati e adeguare il piatto all’ingrediente. E soprattutto – conclude – non staccarlo da un territorio: se io vado a Milano penso al riso con lo zafferano, se vado a Bologna ai tortellini, se in Sicilia alla pasta alla Norma. Il compito degli chef dovrebbe essere lavorare attorno a quel piatto per farlo diventare più invitante, leggero, armonico e colorato».

Mariella Caruso