Risotto, supplì, riso patate e cozze, sartù, arancina o arancino… giusto per non scontentare alcuno. Ovvero il riso raccontato attraverso alcune delle tante declinazioni gastronomiche che ne fanno un ingrediente privilegiato della cucina italiana. Dal Nord al Sud non c’è regione che non abbia un piatto tradizionale con protagonista il riso. Ricette tramandate, spesso, da generazione in generazione che, però, con una maggiore conoscenza del riso possono andare oltre i grandi classici.

La selezione dei COSTARDI BROS. Ne sanno qualcosa gli Ambasciatori del Gusto Christian e Manuel Costardi. Al ristorante Christian e Manuel dell’Hotel Cinzia a Vercelli, infatti, il risotto è una tappa irrinunciabile della carta. «Il risotto si può preparare con tante varietà di riso, tutte quelle che hanno un buon rilascio di amido in cottura: Baldo, Sant’Andrea, Arborio, Carnaroli. È ovvio che, poi, con ogni riso si ottengono risultati diversi ed è indubbio che il segreto per un buon risotto è partire da un ottimo riso», osserva Christian. Il riso utilizzato dai fratelli Costardi è un Carnaroli griffato dagli stessi chef, «frutto di un lavoro cominciato nove anni fa che – spiega lo chef – ci garantisce consistenza, tenuta di cottura e la croccantezza che vogliamo mantenere nei chicchi». Ovviamente, continua Costardi, «noi non abbiamo lavorato sulla coltivazione perché non abbiamo questo tipo di conoscenze e capacità, ma siamo intervenuti successivamente perché sappiamo qual è il livello di sbramatura che vogliamo e qual è la percentuale massima di rottura o di chicchi diversi accettabile per un risotto perfetto». Tutto il riso Carnaroli utilizzato dai Costardi Bros è italiano. «Naturalmente ci sono risi non italiani di ottima qualità come Basmati, Thai, Indica adatti a lavorazioni diverse dal risotto. È ovvio, però, che l’eccellenza del riso italiano fa sì che la nostra scelta ricada sempre su quello. Inoltre noi siamo cresciuti in un territorio che fa parte del triangolo d’oro per questa coltivazione, un po’ come è Modena per la Ferrari».

ARCANGELO DANDINI tra supplì e risotto. La cucina capitolina sublima il riso nel supplì. «Una preparazione in cui il riso “risottato”, condito, lasciato freddare, messo in forma con la mozzarella all’interno è, infine, panato e fritto», attacca Arcangelo Dandini, quinta generazione di ristoratori capitolini, patron de L’Arcangelo. Lo chef classe 62, però, non tralascia altre preparazioni come le minestre di riso, «con piselli o con patate, per esempio», e nemmeno i risotti. «Sono un maniaco in questo senso, tanto da avere un fornello e una pentola riservata solo al risotto che preparo tostando il riso, rigorosamente Carnaroli stagionato da un anno a un anno e mezzo, nell’olio e poi mantecando con burro e parmigiano», continua l’Ambasciatore del Gusto. «Ho provato anche altre varietà come Baldo e Roma, ma mi appassionano meno quindi torno sempre al Carnaroli, che adoro, alternandolo a volte col Vialone Nano», ammette lo chef che utilizza il Carnaroli anche per alcune insalate di riso. «Per quelle da portar via delle botteghe street food, invece, uso il Basmati perfetto, per esempio, per l’insalata con salmone e yogurt», dice ancora sottolineando la superiorità del riso italiano. «Non si tratta solo della coltivazione – conclude – ma anche dell’esperienza delle aziende italiane sulla lavorazione e sulla stagionatura».

In Campania con ANTONIO TUBELLI. Il riso in Campania prende la forma del sartù, dei piccoli arancini per il fritto di strada e del riso con legumi o patate di cui è un maestro Antonio Tubelli, Ambasciatore del Gusto, nonché chef del Gourmeet di Napoli. «La cottura del nostro riso e legumi non è mutuata dal risotto, ma utilizziamo l’intingolo dei legumi e trattiamo il riso come fosse pasta. Si tratta di una preparazione tipicamente meridionale come quella del “riso brusciato” in cui alle cortecce di formaggio tostate si aggiunge il pomodoro passato e il brodo vegetale e poi si manteca col caciocavallo», dice Tubelli che utilizza soltanto riso italiano. Nella lista delle varietà di riso nella dispensa di Tubelli ci sono Carnaroli, Vialone Nano e Arborio. «Nel sartù il Carnaroli dà il meglio di sé mentre per l’arancino il Vialone nano perché il riso deve sentirsi di più – sottolinea lo chef napoletano -. Per alcuni piatti che ho avuto in carta, tra questi l’insalata di riso Venere in cantalupo, ho utilizzato anche riso Venere e riso rosso. Si tratta, però, sempre di riso italiano. Onestamente il riso basmati, o altre varietà tipiche asiatiche, non mi ha mai attirato perché se penso al riso penso sempre a quello italiano. Magari in futuro lo utilizzerò perché non ho preconcetti».

Riso patate e cozze di STEFANO D’ONGHIA. «Il riso non è una tradizione in Puglia», ammette Stefano D’Onghia. «L’unico piatto regionale che preparo in cui il cereale è ingrediente fondamentale è il riso patate e cozze, un piatto prettamente estivo. La varietà più indicata è un Carnaroli o un Arborio, ma quest’attenzione al riso utilizzato fa parte della cultura degli chef. In casa si utilizza ancora riso parboiled perché l’unica cosa che interessa a chi prepara il piatto è che il riso non scuocia», dice il cuoco pugliese che cucina a Putignano. Il motivo è da ricercarsi nella poca dimestichezza con l’ingrediente nel Tacco d’Italia. «Io stesso non ho mai approfondito la conoscenza del riso – conclude – ma mi piacerebbe saperne di più perché credo che, al di là dell’utilizzo, la conoscenza sia importante».

Gli arancini di ROSARIO UMBRIACO. Il viaggio nell’Italia del riso si conclude in Sicilia dove l’aracino (o arancina che dir si voglia) è, probabilmente, la preparazione più nota di street food. L’Ambasciatore del Gusto Rosario Umbriaco uno dei suoi arancini, quello a doppio strato di riso con fonduta di Piacentinu ennese al centro, lo ha brevettato. «Per questo arancino utilizzo solo prodotti siciliani, riso, che è Carnaroli e Baldo coltivato a Catania, Lentini e Leonforte, zafferano e panatura di grani antichi siciliani compresi», dice Umbriaco. Per tutti gli altri arancini, continua lo specialista ennese, «utilizzo riso Roma Gallo. Per me è molto complicato cambiare perché il mio è un locale storico e devo stare molto attento alle ripercussioni sulla clientela». C’è anche altro a cui Rosario Umbriaco deve stare attento. «Ogni partita di riso è diversa dall’altra. E dal momento che il mio è un lavoro strettamente artigianalmente, il riso sul piano di marmo e senza abbattitore perché la produzione è giornaliera, devo testare ogni partita e mi è capitato anche di rimandare indietro alcuni bancali perché magari il riso era troppo acerbo». Con il riso, infatti, «è tutta una questione di esperienza. Circa sette anni fa sono stato invitato a SorRiso Siculo, prima Festa del riso siciliano. In quel momento s’innescò la mia curiosità ed è grazie alla conoscenza del riso che mi ritrovo dove sono».

Mariella Caruso