La pitina friulana, salume a base di carni ovicaprine o di selvaggina ungulata, conservata grazie a un processo di affumicatura e a uno strato protettivo di farina di mais, il marrone di Serino tipico di alcune zone dell’Irpinia e del Salernitano, il cioccolato di Modica e la lucanica di Picerno, salsiccia del Potentino, sono i prodotti dell’agroalimentare italiano ad aver ottenuto il riconoscimento Igp nel 2018. Si tratta degli ultimi quattro della lunga lista dei 299 fin qui tutelati dall’Unione Europea con uno dei tre marchi (Dop, Igp e Stg) che identificano i prodotti di qualità agricoli e alimentari disciplinati dal Regolamento dell’Unione Europea 1151 del 21 novembre 2012.

Per capire come può cambiare la percezione di un prodotto e il suo impatto economico sul mercato dopo l’ottenimento di uno dei riconoscimenti europei abbiamo parlato con Antonio Scivoletto, direttore generale del Consorzio di tutela del cioccolato modicano, prima (e fin qui unica) Igp della classe 2.2, ovvero cioccolato e prodotti derivati, e con Benito La Vecchia, presidente del Consorzio di tutela della ricotta di bufala campana Dop che, pur avendo ottenuto la Dop il 20 luglio 2010 solo da poco meno di due anni è al lavoro sulla promozione del prodotto.

Il cioccolato di Modica Igp. Non è stato semplice per il Consorzio di tutela del cioccolato modicano arrivare al riconoscimento dell’Igp. «La prima richiesta presentata nel 2006 fu bocciata nel 2009 perché mancavano i presupposti per ancorare la produzione al territorio», racconta Antonio Scivoletto che del Consorzio è direttore generale dal 2010. «Da quel momento è stata necessaria un’attività di lobbing per riuscire a fare modificare il regolamento europeo sui regimi di qualità», spiega il dg che ha lavorato in questi anni all’inserimento nell’allegato 1 del Regolamento comunitario della classe del cioccolato e prodotti derivati. Gli altri passaggi verso il riconoscimento hanno riguardato la stesura del disciplinare di produzione, «che, oltre alla tecnica di lavorazione, stabilisce che il prodotto deve essere costituito di pasta amara di cacao nella percentuale da 50 a 99%, zucchero dall’1 al 49% e aromi naturali, sale e frutta secca. Il disciplinare stabilisce, altresì, che il produttore possa indicare nella ricetta anche il Paese di origine delle fave utilizzate per la produzione della pasta amara di cacao». A cambiare, dall’iscrizione nel registro europeo delle Igp, è che «adesso il cioccolato di Modica è soltanto Igp, altrimenti non può esistere. Al momento, avendo ottenuto la registrazione il 15 ottobre 2018, siamo nei 18 mesi di transizione e servirà, però, almeno un altro anno per pulire il mercato dai prodotti non a marchio Igp». Dal riconoscimento però sono calate le aziende aderenti al Consorzio di Tutela. «Dai 14 associati del 2010 il Consorzio era arrivato ai 42 pre-riconoscimento. Attualmente le aziende autorizzate a produrre cioccolato di Modica Igp sono 22 perché alcune, per le quali la produzione era accessoria, hanno deciso di lasciare per la difficoltà di produrre secondo le regole previste dal disciplinare». Economicamente non c’è ancora un dato che fotografi la situazione post riconoscimento. «Tireremo le prime somme a giugno 2020, ma di certo ci sono 12 milioni di barrette prodotte nel 2018 contro le 400mila del 2003 e i 2,5 milioni di contrassegni consegnateci dalla Zecca dello Stato che faranno di un prodotto unico uno ancora più pregiato. Non a caso Modica, avendo ottenuto il primo e fin qui unico riconoscimento concernente il cioccolato vanta il primato di Capitale europea del cioccolato».

La ricotta di bufala campana. Non si tratta di una Dop recente ma, come spiega il presidente del Consorzio di tutela Benito La Vecchia, «il riconoscimento è stato di fatto conservato in un cassetto fino al febbraio 2016. Soltanto dopo quella data è stato costituito il Consorzio». Il motivo? Forse dipende dal fatto che la ricotta è un prodotto accessorio della mozzarella di bufala campana, prodotto Dop dal 1996. «La produzione della ricotta di bufala campana è simbiotica a quella della mozzarella – chiarisce La Vecchia -. Si produce, infatti, con il siero dolce derivato dalla caseificazione del latte di bufala adoperato per la produzione della Mozzarella di Bufala Campana Dop e fino a non poco tempo fa era un prodotto che veniva regalato e, forse per questo, non veniva valorizzato. Di fatto anche se, sin dal momento in cui è stata richiesta l’iscrizione della Dop, tutti ci credevano nessuno si è davvero impegnato nella valorizzazione della ricotta di bufala campana». La costituzione del Consorzio di tutela ha cambiato le cose. «I caseifici associati si sono già più che raddoppiati. Dai 6 del 2016 siamo arrivato ai 13 attuali. A settembre, poi, sono previsti altri 4 ingressi per arrivare fino a 20 consorziati», continua il presidente La Vecchia, classe 94, titolare del caseificio Il Casolare ad Alvignano dove accoglie anche i turisti che così possono assistere alla produzione sia della mozzarella, sia della ricotta di bufala campana. «I dati economici disponibili parlano chiaro, l’aumento di valore del prodotto è stato del 120-130%, la produzione del 2018 è stata di circa 60.000 kg con una vendita al consumatore che si aggira tra i 10 e i 12 euro al chilo», continua il numero uno del Consorzio che ha già ben chiari i prossimi obiettivi. «Ci concentreremo sulla promozione e sulla divulgazione anche nei confronti dei produttori di mozzarella di bufala Dop. Ci piacerebbe – conclude – che tutti, insieme alla mozzarella, producessero anche ricotta di bufala Dop».

Mariella Caruso