Nell’Italia in cui c’è sempre maggiore attenzione per la produzione di pane e pasta con farine di qualità come quelle di Felicetti e Pastificio dei Campi, la superficie destinata al re dei cereali continua a diminuire, seppur con una sostanziale differenza tra quella destinata al grano tenero che continua a crescere e quella votata al grano duro che, al contrario, diminuisce. In dieci anni la superficie totale coltivata a grano è calata di quasi mezzo milione di ettari passando dai 2.289.051 ettari del 2008 agli attuali 1.821.725. La produzione, invece, si è ridotta in dieci anni di quasi due milioni di tonnellate attestandosi a poco più di 7 milioni di tonnellate contro le quasi 9 milioni del 2008. L’Italia è al 21° posto tra i produttori mondiali nella classifica 2018 della Fao che vede in testa Cina, India e Federazione Russa. Classifica che cambia notevolmente se si tiene in considerazione soltanto la produzione di grano duro perché, in quest’ultimo caso, l’Italia è seconda dietro al Canada, paese quest’ultimo forte di un raccolto di 38 milioni di tonnellate.

A disincentivare il lavoro dei contadini è la remunerazione che non supera i 185 euro a tonnellata anche a causa delle importazioni nel nostro Paese. A aumentare, però, è la coltivazione dei cosiddetti grani antichi. Secondo i dati diffusi a fine 2018 dall’Aidepi 5000 ettari sono coltivati a “grani antichi” con un aumento del 400%. Più che di grani realmente antichi, nel senso stretto del termine, in molti casi è più corretto parlare di grani autoctoni, ovvero di varietà che nel tempo erano state soppiantate. Se del Timilia e del Russello, che è un grano tenero, c’è traccia negli antichi scritti, il Senatore Cappelli ha da poco festeggiato i suoi primi cento anni. Sono tante, di fatto, le varietà che i contadini hanno messo a dimora perché, nonostante la resa per ettaro più bassa del convenzionale, le varietà sono più resistenti, possono essere coltivate biologicamente e se ne ricava grano per farine di qualità superiore come quelle del Molino Quaglia e del Molino Rachello.

Tra le varietà piantate nei campi di Galati Mamertino, Comune del Nord-est dei Monti Nebrodi, in seno a un progetto in cui sono stati coinvolti gli Ambasciatori del Gusto siciliani Pasquale Caliri, Francesco Arena e Lillo Freni ci sono oltre il Senatore Cappelli e il Russello, anche Perciasacchi, Bufala Nera e Maiorca. «Siamo stati chiamati a dare una mano a questo progetto di rinascita di alcuni terreni incolti da un centinaio d’anni da Giacomo Emanuele, un ex apicoltore che ha visto morire tutte le sue api probabilmente a causa dei prodotti chimici utilizzati nei campi. Abbiamo partecipato alla semina, abbiamo visto crescere il grano e partecipato alla mietitura. Personalmente ho imparato moltissimo perché conoscere le cose attraverso i libri e toccarle con mano è tutta un’altra cosa. È stato emozionante ascoltare i racconti della semina dalla voce degli anziani contadini», racconta Caliri che, così come gli altri Ambasciatori, utilizzerà parte di quelle farine per alcune delle loro preparazioni.

A utilizzare le farine che ricava dai grani coltivato negli undici ettari di terreni di famiglia che si estendono nei pressi della pizzeria di cui è patron e maestro pizzaiolo è l’Ambasciatore del Gusto Antonio Polzella. Siamo a Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno. «Coltivo farro monococco e tre tipi di grani antichi: il Senatore Cappelli e due originari di questa zona, il Gentil Rosso e il Verna», ci dice Polzella che va oltre la coltivazione. È in un piccolo molino a vista all’ingresso del suo locale, infatti, che il grano che coltiva viene trasformato in farina per diventare ingrediente principale di alcune delle sue pizze. «Inizialmente – continua – non mi occupavo della molitura del raccolto, poi ho deciso che volevo fare tutto da me in modo da occuparmi personalmente di tutto il processo per una pizza a chilometro zero e, in particolar modo per l’orgoglio di poter essere un pizzaiolo-contadino».

Mariella Caruso