Giornalisti, blogger, influencer, instagrammer e storyteller ai quali si aggiungono chef, pasticcieri e gourmet. Sono tanti gli iscritti al club dei raccontatori del cibo in Italia. Un Paese, il nostro, dove tutti, un po’ come accade da sempre nel calcio, si sentono autorizzati a dire la propria. Non è facile, però, raccontare la cucina italiana e il suo infinito patrimonio di cultura e di diversità. A fare il punto sullo stato di salute del giornalismo alimentare di casa nostra, è da qualche anno il Festival del Giornalismo Alimentare, interamente dedicato ai temi dell’informazione e della comunicazione alimentare la cui ultima edizione si è svolta dal 21 al 22 febbraio a Torino.

NETWORKING. E siccome «la grande cucina italiana è un patrimonio che ha bisogno di ambasciatori» non poteva mancare, tra i 32 panel che hanno coinvolto 130 relatori, l’intervento degli Ambasciatori del Gusto. «Un’associazione inclusiva della quale non fanno parte solo chef, cuochi, panificatori, pasticcieri, operatori dell’enogastronomia ma anche scienziati, giornalisti, professori che crede nel networking – ha esordito la presidente dell’Associazione Cristina Bowerman intervistata dal giornalista di La Repubblica Marco Trabucco – e vuole aiutare la cucina italiana in tutti i campi».

IL GUSTO ITALIANO. «Formazione ed educazione sono alla base della crescita del gusto italiano, nel nostro Paese e all’estero. Ma allo stesso tempo definire la cucina italiana in punti, siano essi dieci o di più, è impossibile perché le nostre tradizioni sono troppe vaste», ha osservato la numero uno degli Ambasciatori del Gusto. La strada da seguire, invece, «potrebbe essere quella di creare un profilo del gusto italiano che sia riconoscibile da tutti e contribuisca alla crescita sistemica della nostra cucina nel mondo».

I CONSORZI. In questo sistema di crescita devono trovare posto anche le produzioni tipiche e i Consorzi che possono favorire l’accesso dei cuochi ai prodotti d’eccellenza. «Il grande problema della materia prima italiana è riuscire a dare la possibilità a cuochi e chef che non vivono nei pressi dei luoghi di produzione di accedere a prodotti d’eccellenza – ha sottolineato la chef pugliese -. Ci sono molti chef che fanno sforzi immani per approvvigionarsi delle materie prime, ma ancora l’80% dei prodotti che finiscono nelle cucine vengono venduti nei mercati generali».

FARE SISTEMA. Come è possibile farlo? «Riuscendo a creare per i piatti della nostra cucina un sistema, un codice, una definizione che li identifichi come italiani», spiega. L’esempio utilizzato da Cristina Bowerman è stato quello del risotto, «il risultato di una tecnica di cottura strettamente italiana tanto che, anche quando si parla di pasta o di altri cereali risottati si attiene alla nostra tradizione. Il grande passo da compiere è fare riconoscere tutto questo anche all’estero». A dare una mano possono essere anche eventi globali come la Settimana della cucina italiana nel mondo. «Nella prima riunione al Ministero in preparazione della 4a edizione come Ambasciatori abbiamo proposto di sviluppare monotemi giornalieri uguali in tutto il mondo per aumentare la capacità d’impatto».

LA FORMAZIONE. Per aumentare la conoscenza, però, serve molta formazione. «Il cuoco non è più solo qualcuno che cucina, è un imprenditore che deve pure far quadrare i conti. Lo scatto dal lavoro manuale a professionale in Italia, però, non è stato fatto in maniera programmata. Mentre ognuno, in ordine sparso, cercava di trovare la sua strada, la figura del cuoco è cambiata radicalmente», fa riflettere la chef che si è formata in Texas dove, racconta, «insieme alla cucina ho studiato, tra gli altri, public speaking, psicologia, economia». Per questo l’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto ritiene «l’educazione fondamentale, la base della crescita del gusto italiano, nel nostro Paese e all’estero. Ed è necessario – ha sottolineato la presidente – formare gli insegnanti ancor prima degli studenti. Fare Formazione è il nostro grande progetto che, cominciato con l’istituto professionale di Amatrice, prosegue attraverso un protocollo d’intesa firmato con Renaia attraverso il quale offriamo corsi d’aggiornamento anche ai formatori perché, com’è vero che gli studenti hanno bisogno di role model, gli insegnanti sono il loro primo riferimento».

Mariella Caruso